un messaggio antifascista dalle ombre dell’Europa Centrale e Orientale

(testo originale qui)

L’imperialismo russo porta nell’Europa centrale e orientale fascismo e genocidio mascherati nel linguaggio dell’antifascismo. Lx antifascistx di questa regione hanno per primx richiamato l’attenzione sul supporto pericolosamente sistematico e massiccio dato dalla Russia ai movimenti ultranazionalisti e neonazisti in tutta Europa fin dal 2014. Oggi il supporto tacito è diventata guerra aperta, e lx antifa mandano un messaggio – la Russia deve essere sconfitta ed espulsa ad ogni costo, o la morte, l’oscurità e la sottomissione verranno nella nostra terra, e ogni attività di emancipazione, così come coloro che la supportano, si ritroverà con un proiettile in fronte.

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Se avessimo una macchina del tempo e potessimo portarvi indietro ad incontrarci nel passato lontano e recente, sapete che cosa vedreste guardandovi intorno?

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La competenza maschilista – di Léo Thiers-Vidal

Questo lungo estratto fa parte del libro “De l’ennemi principal aux principaux ennemis: position vécue, subjectivité et conscience masculine de domination” (Dal nemico principale ai principali nemici: posizione vissuta, soggettività e coscienza maschile di dominazione) di Léo Thiers-Vidal, con introduzione di Christine Delphy.

Dello stesso autore avevo già tradotto un breve saggio che trovate qui. Thiers-Vidal era un compagno dichiaratamente bisessuale, anarchico e antispecista, che nel 2007 ha scelto di non vivere più. Quello che lo rende speciale, nel panorama delle persone assegnate uomini alla nascita che hanno scelto di contribuire alla causa femminista da un punto di vista maschile, è la sua capacità di rendere politico (e insieme personale) ciò che spesso viene trattato da un punto di vista freddamente psicologico o più banalmente polemico. Lungi da limitarsi ad un elenco di “cose da non fare” o fare proselitismo promuovendo un “femminismo che fa bene agli uomini”, Thiers-Vidal individua le pratiche concrete che perpetuano la dominazione maschilista e offre spunti per superarle, non per creare una “nuova maschilità” ma, in linea con il femminismo materialista francofono, per superare il genere in quanto tale.

La tesi di fondo del libro è che gli uomini abbiano una coscienza della dominazione, siano cioè consapevoli che le loro azioni (e non-azioni) abbiamo la funzione di mantenerli in una posizione dominante rispetto alle soggettività “non-pari”. In questo estratto parla della “competenza (expertise) maschilista”, riferendosi proprio a quelle cose che gli uomini imparano fin da bambini per consentire loro di conservare e ampliare il proprio privilegio di genere.

Copertina del libro

Competenza maschilista

La tematica della socializzazione maschile (eterosocializzazione ed eterosessualizzazione), riletta tramite l’ipotesi della coscienza maschile di dominazione, ha permesso di capire alcuni aspetti della soggettività maschile, psico-familiare e psicosociale1. Gli elementi empirici finora affrontati, e le ipotesi esplicative discusse, confermano che sarebbe sbagliato limitarsi a un’analisi disincarnata di quella configurazione materiale-soggettiva che è la posizione maschile vissuta. Ma indicano, anche, la necessità di ripensare questa posizione integrando pienamente in essa l’agentività politica degli uomini: il fatto cioè che agiscano in funzione dei loro interessi e desideri, e che questi siano concepiti come superiori a quelli delle donne.

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Parlate tra di voi – dalla colpa bianca al tradimento della razza

Ho scelto di tradurre questo pezzo uscito su Ill Will perché credo offra moltissimi spunti di riflessione sulla questione della solidarietà con le lotte, in particolare sul confronto tra una militanza fondata sul senso di colpa e un’attivismo basato sulla mutualità, la complicità e la condivisione. Il tema del pezzo sono le rivolte della primavera del 2020 negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia, ma credo che gli spunti possano essere utili anche per gli uomini cis ed etero che si chiedono come potere essere solidali con le lotte femministe e queer. Tradire il genere è forse più complicato che tradire la razza, ma affermare che queste identità che ci sono imposte – pur con tutti i privilegi che portano – non siano statiche ma instabili, e che si possano rompere le alleanze che le sorreggono, può essere una traccia per comprendere meglio.

Parlate tra di voi: dal senso di colpa bianco al tradimento della razza

La psicologia moderna è una psicologia del deserto: quando perdiamo la facoltà di giudicare – di soffrire e condannare – cominciamo a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in noi se non possiamo vivere una vita deserta. Fintanto che la psicologia cerca di ‘aiutarci’, ci aiuta a ‘adattarci’ a questa vita, portando via la nostra unica speranza, quella di essere capaci, noi che non siamo destinati al deserto nel quale viviamo, di trasformarlo in un mondo umano. La psicologia capovolge tutto: precisamente perché soffriamo in queste condizioni desertiche siamo ancora umani e ancora intatti; il pericolo sta nel diventare veri abitanti del deserto e sentirci a casa in esso. – Hannah Arendt

Lo sbirro nella testa

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Dalla maschilità all’anti-maschilismo: pensare i rapporti sociali sessuati dalla posizione dell’oppressore (Léo Thiers-Vidal)

testo originale qui

Nota di traduzione: l’autore si rivolge principalmente agli studiosi uomini che vogliono compiere ricerche sulla maschilità con l’intenzione dichiarata o sentita di collaborare alla causa femminista. Per indicare queste persone, usa la locuzione “ricercatori-uomini impegnati”: trovandola un po’ pesante nella traduzione italiana, ho usato il termine ricercatori, aggiungendo “uomini” o “impegnati” quando mi pareva più necessario specificarlo. Inoltre, ho tradotto “genré” come “di genere” perché in italiano non esiste una traduzione accettabile di questa accezione (genré come gendered in inglese, cioè condizionati o prodotti dal genere), e “rapports sociaux de sexe” come “rapporti sociali sessuati” perché “di sesso” mi suonava male in italiano. Un’ultima cosa che vorrei aggiungere, da persona che è stata sempre distratta quando si spiegava filosofia al liceo: quando si parla di epistemologia, termine che ricorre in questo testo, si parla del modo in cui si conoscono le cose.

In questo articolo propongo una riflessione sul modo in cui i ricercatori, impegnati nella lotta contro l’oppressione delle donne da parte degli uomini, possono migliorare la loro efficacia politica e scientifica nell’analisi dei rapporti sociali sessuati1. Quando questi uomini cercano di produrre analisi pertinenti e prive di pregiudizi, si trovano di fatto ad affrontare una doppia difficoltà: da una parte, quella di comprendere pienamente le analisi femministe, che designano la loro esistenza come fonte permanente di oppressione delle donne; dall’altra, quella di imparare a gestire i conflitti interiori che ne derivano, in modo da permettere loro uno sguardo sull’oppressività della loro costruzione e azione che sia produttivo e coinvolto invece che distaccato. Lo studio dei rapporti sociali sessuati pone con insistenza la questione del legame tra il soggetto conoscente e l’oggetto di ricerca: a causa del radicamento identitario, affettivo, sessuale e corporale generato dall’organizzazione specifica dei rapporti sociali sessuati, ogni messa in questione politica e teorica implica che i ricercatori rivedano la loro costruzione e il loro vissuto personale. In quanto membri del gruppo oppressore, devono imparare che la loro soggettività è strutturata dalla posizione maschile, cioè dal fatto che beneficiano di ricchezze materiali, libertà sociali, qualità della vita e rappresentazioni androcentriche nella misura stessa in cui opprimono le donne. I ricercatori devono allora, per produrre analisi pertinenti e senza pregiudizi, elaborare una coscienza anti-maschilista2: una coscienza della loro strutturazione soggettiva particolare in quanto oppressori, e la consapevolezza di dovere sviluppare dei modi per comprendere pienamente le conseguenze di questa strutturazione, per non riprodurre dei pregiudizi maschilisti. Da questa consapevolezza emerge una questione fondamentale: in che modo la posizione dominante prodotta dall’azione oppressiva struttura il rapporto epistemologico rispetto al soggetto stesso dei rapporti sociali sessuati? In altre parole, in che modo le analisi sui rapporti sociali sessuati sono influenzate, ossia limitate, dall’appartenenza dei ricercatori al gruppo sociale degli uomini?

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Ecografia di una debolezza

articolo originale sul numero 21 della rivista Harz-Labour di Rennes

“Il rimorso non è la prova del crimine, ma solo di un animo facile da soggiogare”

Marchese de Sade, Justine

La debolezza è quella condizione che ognuna di noi ha purtroppo conosciuto in un momento o l’altro della sua vita. È quella fatica che può spingere a scopare, perché non si ha la forza di giustificare un no, è quella puntuale rassegnazione che ci fa ignorare la mano sul culo al bar, è in tutte quelle situazioni in cui il reale rinvia brutalmente ogni donna alla sua condizione di corpo messo a disposizione. Ma al di là dei vissuti singolari, la debolezza è il prodotto della differenziazione sessuata, ed è costruita come una proprietà intrinsecamente femminile. Giustificata anatomicamente dai medici con la cavità del sesso femminile, rinforzata politicamente dall’idea di uno stato di minorazione delle donne, essa legittima l’insieme del funzionamento patriarcale.

La debolezza femminile è l’insieme della caratterizzazione del femminile: appoggiandosi all’idea di una fragilità biologica e sociale, di una incoerenza tutta femminile, è ciò che rende le donne delle piccole cose fragili che bisogna proteggere.

Di conseguenza, si situa al centro del regime politico eterosessuale: imponendo l’idea della necessità di proteggere le donne da sé stesse, rinviandole al biologico e alle loro funzioni riproduttrici, fonda la loro dipendenza dai poteri che devono prenderla in carico e le rinchiude nella sfera domestica. L’idea di debolezza, lasciando intendere un’incapacità al governo di sé, richiede la regolazione dei comportamenti. È la messa a disposizione del corpo femminile alla possenza mascolina, perché se si tratta di proteggere, si tratta anche di addomesticare. Per farla breve, la debolezza femminile è ciò che priva le donne delle loro vite e le rende governabili.

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La maschilità è un’idea politicamente costruita

tra le varie cose che sto leggendo traducendo e scrivendo sul tema del maschile da demolire, volevo condividere la traduzione di questi “pensieri conclusivi” tratti da “Refusing to be a man” di John Stoltenberg.

L’identità sessuale maschile non è un “ruolo”.

Non è un insieme di tratti anatomici.

L’identità sessuale maschile – la credenza che uno sia maschio, la credenza che esista un sesso maschile, la credenza che uno vi appartenga – è un’idea politicamente costruita.

Significa che la mascolinità è una costruzione etica: la costruiamo con le nostre azioni, con le cose che scegliamo di fare e di non fare, con le nostre azioni consapevoli che siano le cose “maschie” da fare. Molte delle nostre scelte dipendono dalla nostra volontà di realizzare la nostra idea di maschilità, per non pensare al fatto che, in realtà, la divisione della nostra specie in due classi separate e distinte di sesso possa essere profondamente sbagliata. Molte delle nostre scelte dipendono dal dissociarci da tutto ciò che viene codificato e stigmatizzato come “femmina”. Molte delle nostre scelte derivano dalla volontà di “disidentificarci” con le donne. Molte delle nostre scelte creano la condizione di essere sessuat*.

Finché continueremo a provare ad agire in modi che ci confermano “uomini”, siamo condannati alla paralisi, alla colpa, al disprezzo per noi stessi e all’inerzia. Finché cerchiamo di agire come uomini, per continuare a essere uomini, per fare la nostra parte nella costruzione sociale dell’entità che è la classe sessuale degli uomini, condanniamo le donne all’ingiustizia: l’ingiustizia che risiede nell’idea stessa che esistano due sessi.

L’identità sessuale maschile è costruita attraverso le scelte che facciamo e le nostre azioni. Non possiamo continuare a costruirla e al tempo stesso considerarci pienamente femministi. Non si può restare aggrappati al proprio genere come cuore del proprio io, e pensare di essere in qualche modo utili alla battaglia. Bisogna cambiare il centro del proprio io, perché sappia amare la giustizia più della maschilità [One must change the core of one’s being. The core of one’s being must love justice more than manhood.]

 

da “Refusing to be a man”, di John Stoltenberg, p.182 dell’edizione Fontana (UK) del 1990.

La complessità e la contraddizione negli spiriti Vodou

Hector Hyppolite – Ogou Feray, also known as Ogoun Ferraille, ca. 1945 (Met Museum)

[Riprendendo il discorso iniziato tempo fa sul Vodou, ho tradotto un piccolo pezzo tratto dal libro “Mama Lola – A Vodou Priestess in Brooklyn” di Karen McCarthy Brown”, nel quale l’autrice – che ha frequentato per tanti anni il tempio vodou di Manbo Alourdes a New York diventando anche lei una vodouisante – descrive il modo in cui la complessità della vita e della personalità umana si rispecchia nel pantheon delle divinità (lwa) del Vodou haitiano. Questa parte si trova nelle pagine 97 e 98 dell’edizione dell’University of California del 2001]

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Pandemia, vaccino, pass sanitario: per una posizione rivoluzionaria

Ho tradotto questa posizione di ActaZone perché mi è sembrata molto chiara e condivisibile sulla questione politica del “pass sanitario” o, come lo chiamiamo in Italia, il Green Pass. Mi sembra che il punto principale – non lasciarsi catturare dalla polarizzazione forzata sul vaccino – sia di estrema importanza. Questo scritto nasce naturalmente nel contesto francese ma credo che i riferimenti alla realtà locale non siano difficili da capire anche per chi non conosce la realtà francese.

Articolo originale qui: https://acta.zone/pandemie-vaccin-pass-sanitaire-pour-une-position-revolutionnaire/

È davvero difficile riuscire ad adottare una posizione politica chiara di fronte a un dibattito così tanto polarizzato, ridotto spesso a un mero conflitto tra “pro” e “anti” vax. Da una parte, si sta diffondendo un grande malcontento contro il pass sanitario e l’obbligo implicito alla vaccinazione, il che ha portato migliaia di persone in piazza in tutta la Francia. Dall’altro, la sinistra radicale ha preso le distanze da queste mobilitazioni, con la motivazione – incontestabile – che una parte dell’estrema destra sia all’avanguardia di queste mobilitazioni, o anche che ci sia una confusione tendenzialmente negazionista, espressa attraverso discorsi e simboli come le analogie con la Shoah o l’apartheid.

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Skinhead revolt, punky reggae party: il reggae che attraversa l’Atlantico

Vista la ricorrenza dei 40 anni dalla morte di Bob Marley, volevo partecipare raccontando qualche cosa sul reggae.

In Italia, questa evoluzione del suono afrocaraibico arriva in coincidenza con l’affermazione internazionale di Marley e dei suoi Wailers (a parte i tentativi non riusciti di Peppino di Capri e Raffaella Carrà1); forse per questo motivo, nella cultura italiana e in generale quella europea continentale, il reggae è associato a un certo tipo di militanza politica e culturale di sinistra, legata alla marijuana, a una specie di terzomondismo, a un’estetica appariscente e un po’ fricchettona. Senza nulla togliere a questo percorso, la storia del reggae e della musica giamaicana in rapporto alla cultura bianca e occidentale è sicuramente più interessante se si parte da dove tutto è cominciato, ovvero da Londra. Continue reading

BDSM Apocalypse

Ho deciso di tradurre questo testo di Romain Noël perché mi sono ritrovato molto nel modo in cui è stato disteso. La sensazione che mi ha dato è quella di avere ascoltato il discorso di un amico, particolarmente ispirato alla fine di una festa, quando si finisce di bere quello che c’è e le menti sono un po’ vacue ma molto ricettive. La traduzione è stata un’esperienza bella, perché ho discusso con l’autore stesso alcuni passaggi e ho conosciuto meglio una persona che, già dal testo, mi sembrava quasi familiare; per me che leggo sempre velocemente, soffermarmi sui passaggi e le sfumature di un testo così ibrido è stato entusiasmante. Ringrazio tantissimo Romain Noël e come sempre Lundi Matin per le perle settimanali che ci regala, e per la disponibilità e l’amichevolezza con la quale rispondono alle mie traduzioni.

Qui il testo originale: https://lundi.am/BDSM-Apocalypse

Questo testo molto bello parla della nostra epoca, ovvero del triste antropocene, della fine di un mondo e della necessaria liquidazione dell’umano. Ci narra di una guerra affettiva, di un arte delle lacrime e del desiderio ardente di rendere le nostre malinconie dei portali aperti su mondi nuovi. Partendo dalla constatazione che i Lumi sono stati prima di tutto un progetto anti-affettivo, Romain Noël propone di ritornare alle ombre. Di affetto in affetto, il soggetto umano si oscura e si trasforma. Il futuro è nelle nostre mani: una storia da scrivere, una promessa da mantenere, una lotta da condurre, appassionatamente.

a Nadir, che mi ha saputo leggere quando non sapevo più scrivere

e a Loup, che mi ha parlato delle stelle1

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