(articolo originale qui)
Voglio cominciare così: state tranquilli, potenti, boss, grandi capi: fa male. Per bene che lo sappiamo, che vi conosciamo, che abbiamo preso decine di volte il vostro potere di traverso in faccia, fa sempre comunque male. Tutto questo fine settimana a sentirvi gemere e piagnucolare, lamentarvi che vi costringiamo a passare le vostre leggi a colpi di decreto d’urgenza e che non vi lasciamo celebrare Polanski in santa pace e che vi si guasta la festa ma dietro le vostre geremiadi, non illudetevi: lo sentiamo come godete di essere i veri padroni, i grandi capoccia, e il messaggio arriva in pieno: questa nozione di consenso, voi non volete proprio farla passare. Cosa ci sarebbe di bello nell’appartenere al clan dei potenti se si dovesse tenere conto del consenso dei dominati? E non sono sicuramente la sola ad avere voglia di gridare di rabbia e di impotenza dopo la vostra bella dimostrazione di forza, sicuramente non la sola a sentirmi sporcata dallo spettacolo della vostra orgia di impunità.
Non c’è nessuna sorpresa nel fatto che l’accademia dei césars consideri Roman Polanski il miglior regista del 2020. È grottesco, è offensivo, è ignobile, ma non è sorprendente. Quando tu affidi un budget di più di 25 milioni a un tizio per fare un telefilm, il messaggio sta nel budget. Se la lotta contro la crescita dell’antisemitismo interessasse il cinema francese, si vedrebbe. Al contrario, la voce degli oppressi che si assumono il racconto del loro stesso calvario, abbiamo capito che vi irrita. Perciò, quando avete sentito parlare di questo sottile paragone tra il problema di un cineasta maltrattato da un centinaio di femministe davanti a tre sale di cinema e Dreyfus, vittima dell’antisemitismo francese alla fine del secolo scorso, ci siete saltati dentro con tutto il corpo. Venticinque milioni per questo parallelo. Superbe. Applaudiamo gli investitori, perché per mettere insieme una cifra simile è servito che tutti partecipassero al gioco: Gaumont Distribuzione, i crediti d’imposta, France 2, France 3, OCS, Canal +, la RAI… la mano nel portafoglio, e generosa, per una volta. Serrate i ranghi, vi difendete gli uni con gli altri. I più potenti vogliono difendere le loro prerogative: fa parte della vostra eleganza, lo stupro stesso è ciò che fonda il vostro stile. La legge vi copre, i tribunali sono il vostro dominio, i media vi appartengono. Ed è esattamente a questo che serve, la potenza delle vostre grandi fortune: avere il controllo dei corpi dichiarati subalterni. I corpi che tacciono, che non raccontano la storia dal loro punto di vista. Il tempo è arrivato per i più ricchi di far passare questo bel messaggio: il rispetto che gli è dovuto deve arrivare fino ai loro cazzi sporchi del sangue e della merda dei bambini che stuprano. Che sia all’Assemblea Nazionale o nella cultura – non più nascondersi, non più fingere imbarazzo. Voi esigete il rispetto totale e costante. Vale per lo stupro, vale per gli abusi della vostra polizia, vale per i césar, vale per la vostra riforma delle pensioni. È la vostra politica: esigere il silenzio delle vittime. Fa parte del dominio, e se serve farcelo capire con il terrore non vedete dove sia il problema. Il vostro piacere malato, prima di tutto. E non volete intorno a voi che i valletti più docili. Non c’è niente di sorprendente che abbiate incoronato Polanski: sono sempre i soldi che si celebrano, nelle cerimonie, e del cinema chi se ne fotte. Del pubblico chi se ne fotte. È la vostra propria potenza di fuoco monetario che venite ad adulare. È il grosso budget che avete offerto come sostegno che salutate – attraverso di esso, è il vostro potere che dobbiamo rispettare.
Sarebbe inutile e fuori posto, commentando questa cerimonia, separare i corpi degli uomini cis da quelli delle donne cis. Non vedo nessuna differenza di comportamento. È chiaro che i grandi premi continuano a essere esclusivamente il dominio degli uomini, perché il messaggio di fondo è: niente deve cambiare. Le cose vanno bene così come sono. Quando Foresti si permette di lasciare la festa e di dichiararsi “nauseata”, non lo fa in quanto donna – lo fa come individuo che si assume il rischio di porsi contro la sua stessa professione. Lo fa in quanto invididuo che non si è interamente asservito all’industria cinematografica, perché sa che il vostro potere non arriverà a svuotare le sue sale. È la sola a osare scherzare sull’elefante nella stanza, tutti gli altri faranno finta di niente. Neanche una parola su Polanski, neanche una parola su Adèle Haenel. Si cena tutti insieme, in quella stanza, si conoscono le parole d’ordine: è da mesi che vi infastidite perché una parte del pubblico si fa sentire ed è da mesi che soffrite perché Adèle Haenel ha preso parola per raccontare la sua storia di bambina attrice, dal suo punto di vista.
Allora tutti i corpi seduti quella sera nella sala sono convocati con un solo scopo: confermare il potere assoluto dei potenti. E i potenti amano gli stupratori. In fondo, quelli che gli somigliano, quelli che sono potenti. Non li amano malgrado siano stupratori e perché hanno talento. Gli si riconosce del talento e dello stile perché sono degli stupratori. Li amano per questo. Per il coraggio che hanno nel rivendicare la morbosità del loro piacere, la loro pulsione molle e sistematica di distruzione dell’altro, di distruzione, in verità, di tutto ciò che toccano. Il vostro piacere risiede nella predazione, è la vostra sola comprensione dello stile. Sapete bene quello che fate quando difendete Polanski: esigete che vi si ammiri fin nella vostra delinquenza. È questa esigenza che fa sì che nella cerimonia tutti i corpi siano sottomessi a una stessa legge di silenzio. Si accusa il politicamente corretto e i social media, come se questa omertà sia nata ieri e sia colpa delle femministe ma è da decenni che si presenta così: durante le cerimonie del cinema francese, non si scherza mai con la suscettibilità dei padroni. Allora tutti tacciono, tutti sorridono. Se lo stupratore di bambini fosse il bidello non ci sarebbe limite: polizia, prigione, dichiarazioni roboanti, difesa della vittima e condanna generale Ma se lo stupratore è un potente: rispetto e solidarietà. Mai parlare in pubblico di ciò che succede durante i casting né durante i preparativi né delle riprese né durante la promozione. Si racconta, si sa. Tutti sanno. È sempre la legge del silenzio che prevale. È per il rispetto di questa consegna che si seleziona il personale.
E per quanto si sappia tutto questo da anni, la verità è che siamo sempre sorpresi dalla tracotanza del potere. È questo che è bello, alla fine, è questo che funziona sempre, le vostre schifezze. Resta umilante vedere i partecipanti succedersi dal palco, che sia per annunciare o per ricevere un premio. Ci si identifica forzatamente – non solo io che faccio parte di questo serraglio ma chiunque guardando la cerimonia, si identifica e viene umiliato per procura. Così tanto silenzio, così tanta sottomissione, così tanta sollecitudine nella servitù. Ci si riconosce. Si ha voglia di crepare. Perché quando il rito finisce, sappiamo che tutti lavoriamo in questa merda. Siamo umiliati di rimando quando li guardiamo tacere benché tutti sappiano che se “Ritratto di una giovane in fiamme” non riceve nessun premio, è solamente perché Adèle Haenel ha parlato e si tratta di far capire bene alle vittime che potrebbero avere voglia di raccontare la loro storia che farebbero bene a riflettere prima di rompere la legge del silenzio. Umiliate di rimando perché avete osato convocare due registe che non hanno mai ricevuto e forse non riceveranno mai il premio della miglior regia per darlo al cazzo di Roman Polanski. Proprio lui. Dritto in faccia a noi. Non avete davvero vergogna di nulla. Venticinque milioni, cioè quattordici volte il budget dei “Miserabili”, e questo tizio e il suo cazzo di film non sono nemmeno tra i 5 film più visti dell’anno. E voi lo ricompensate. E sapete bene quello che state facendo – che l’umiliazione subita da tutta una parte del pubblico che ha ben compreso il messaggio si estenderà fino al premio dopo, quello dei “Miserabili”, quando convocate sulla scena i corpi più vulnerabili della sala, quelli che sappiamo rischiare la loro pelle al più banale controllo di polizia, e se non ci sono donne tra loro, sappiamo bene che è fatto con intenzione e sappiamo che loro sanno quanto l’impunità dello stupratore celebre sia legata in quella serata alla situazione del quartiere in cui vivono. Le registe che aggiudicano il premio della vostra impunità, i registi il cui premio è macchiato dalla vostra ignominia – stessa lotta. Gli uni e le altre sanno che in quanto lavoratori dell’industria del cinema, se vogliono diventare qualcuno un giorno, devono tacere. Né una battuta, né un accenno. Questo, è lo spettacolo dei césar. E il caso ha voluto che il messaggio passi anche su tutti i fronti: tre mesi di sciopero generale contro una riforma delle pensioni che non vogliamo e che voi farete passare a forza. È lo stesso messaggio che viene dagli stessi ambienti indirizzato allo stesso popolo: “la tua bocca, devi chiuderla, il tuo consenso te lo infili nel culo, e sorridi quando mi incontri perché io sono potente, perché io ho i soldi, perché il capo sono io”.
Quindi quando Adèle Haenel si è alzata, è stato il sacrilegio. Una dipendente recidiva, che non si sforza di sorridere quando viene avvilita in pubblico, che non si sforza ad applaudire lo spettacolo della sua stessa umiliazione. Adèle si alza come si è già alzata per dire ecco come la vedo la vostra storia del regista e della sua attrice adolescente, ecco come l’ho vissuta, ecco come la porto, ecco come mi è rimasta addosso. Perché potete girarla come volete, la vostra idiozia della separazione tra l’uomo e l’artista – tutte le vittime di stupro di artisti sanno che non c’è nessuna divisione miracolosa tra il corpo violentato e il corpo creatore. Ci portiamo appresso quello che siamo ed è tutto. Venite a spiegarmi come mi dovrei sentire a lasciare la ragazza violentata fuori dalla porta del mio ufficio prima di mettermi a scrivere, banda di buffoni.
Adèle si alza e se ne va. Quella sera del 28 febbraio non abbiamo imparato niente che non sapessimo sulla bella industria del cinema francese ma in compenso abbiamo imparato come si porta, il vestito da sera. Come una guerriera. Come si cammina sui tacchi alti: come se si andasse a demolire tutto l’edificio, come si cammina a schiena dritta e la nuca rigida di collera e le spalle aperte. La più bella immagine in quarantecinque anni di cerimonia – Adèle Haenel quando scende le scale per uscire e vi applaude e da adesso sappiamo come funziona, quando qualcuno se ne va e vi smerda. L’ottanta per cento della mia biblioteca femminista non vale questa immagine. Questa lezione. Adèle io non so se sia lo sguardo maschile o lo sguardo femminile ma io ti guardo innamorata in loop sul mio telefono per questa uscita. Il tuo corpo, i tuoi occhi, la tua schiena, la tua voce, i tuoi gesti dicevano tutto: sì noi siamo le povere stronze, siamo le umiliate, sì dobbiamo solo chiudere la bocca e ingoiare i vostri colpi, voi siete i boss, voi avete il potere e l’arroganza che lo accompagna ma noi non staremo zitte senza dire niente. Non avrete il nostro rispetto. Ce ne andiamo. Fate le vostre cagate tra di voi. Celebratevi, umiliatevi gli uni con le altre, uccidete, stuprate, sfruttate, sfondate tutto quello che vi passa per le mani. Noi ci alziamo e ce ne andiamo. Probabilmente è un’immagine che annuncia i giorni a venire. La differenza non sta tra gli uomini e le donne, ma tra i dominati e i dominanti, tra chi vuole requisire la narrazione e imporre le sue decisioni e chi si alzerà e se ne andrà urlando la sua rabbia. È la sola risposta possibile alle vostre politiche. Quando non va, quando va troppo oltre; ci alziamo ce ne andiamo e urliamo e vi insultiamo e anche se siamo sotto, anche se il vostro potere di merda lo prendiamo in faccia, vi disprezziamo vi vomitiamo. Non abbiamo nessun rispetto per la vostra farsa di rispettabilità. Il vostro mondo è disgustoso. Il vostro amore per il più forte è malato. La vostra potenza è una potenza sinistra. Siete una banda di macabri imbecilli. Il mondo che avete creato per regnare come dei miserabili è irrespirabile. Noi ci alziamo e ce ne andiamo. È finita. Ci alziamo. Ce ne andiamo. Urliamo. Vi smerdiamo.