Dalla maschilità all’anti-maschilismo: pensare i rapporti sociali sessuati dalla posizione dell’oppressore (Léo Thiers-Vidal)

testo originale qui

Nota di traduzione: l’autore si rivolge principalmente agli studiosi uomini che vogliono compiere ricerche sulla maschilità con l’intenzione dichiarata o sentita di collaborare alla causa femminista. Per indicare queste persone, usa la locuzione “ricercatori-uomini impegnati”: trovandola un po’ pesante nella traduzione italiana, ho usato il termine ricercatori, aggiungendo “uomini” o “impegnati” quando mi pareva più necessario specificarlo. Inoltre, ho tradotto “genré” come “di genere” perché in italiano non esiste una traduzione accettabile di questa accezione (genré come gendered in inglese, cioè condizionati o prodotti dal genere), e “rapports sociaux de sexe” come “rapporti sociali sessuati” perché “di sesso” mi suonava male in italiano. Un’ultima cosa che vorrei aggiungere, da persona che è stata sempre distratta quando si spiegava filosofia al liceo: quando si parla di epistemologia, termine che ricorre in questo testo, si parla del modo in cui si conoscono le cose.

In questo articolo propongo una riflessione sul modo in cui i ricercatori, impegnati nella lotta contro l’oppressione delle donne da parte degli uomini, possono migliorare la loro efficacia politica e scientifica nell’analisi dei rapporti sociali sessuati1. Quando questi uomini cercano di produrre analisi pertinenti e prive di pregiudizi, si trovano di fatto ad affrontare una doppia difficoltà: da una parte, quella di comprendere pienamente le analisi femministe, che designano la loro esistenza come fonte permanente di oppressione delle donne; dall’altra, quella di imparare a gestire i conflitti interiori che ne derivano, in modo da permettere loro uno sguardo sull’oppressività della loro costruzione e azione che sia produttivo e coinvolto invece che distaccato. Lo studio dei rapporti sociali sessuati pone con insistenza la questione del legame tra il soggetto conoscente e l’oggetto di ricerca: a causa del radicamento identitario, affettivo, sessuale e corporale generato dall’organizzazione specifica dei rapporti sociali sessuati, ogni messa in questione politica e teorica implica che i ricercatori rivedano la loro costruzione e il loro vissuto personale. In quanto membri del gruppo oppressore, devono imparare che la loro soggettività è strutturata dalla posizione maschile, cioè dal fatto che beneficiano di ricchezze materiali, libertà sociali, qualità della vita e rappresentazioni androcentriche nella misura stessa in cui opprimono le donne. I ricercatori devono allora, per produrre analisi pertinenti e senza pregiudizi, elaborare una coscienza anti-maschilista2: una coscienza della loro strutturazione soggettiva particolare in quanto oppressori, e la consapevolezza di dovere sviluppare dei modi per comprendere pienamente le conseguenze di questa strutturazione, per non riprodurre dei pregiudizi maschilisti. Da questa consapevolezza emerge una questione fondamentale: in che modo la posizione dominante prodotta dall’azione oppressiva struttura il rapporto epistemologico rispetto al soggetto stesso dei rapporti sociali sessuati? In altre parole, in che modo le analisi sui rapporti sociali sessuati sono influenzate, ossia limitate, dall’appartenenza dei ricercatori al gruppo sociale degli uomini?

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Ecografia di una debolezza

articolo originale sul numero 21 della rivista Harz-Labour di Rennes

“Il rimorso non è la prova del crimine, ma solo di un animo facile da soggiogare”

Marchese de Sade, Justine

La debolezza è quella condizione che ognuna di noi ha purtroppo conosciuto in un momento o l’altro della sua vita. È quella fatica che può spingere a scopare, perché non si ha la forza di giustificare un no, è quella puntuale rassegnazione che ci fa ignorare la mano sul culo al bar, è in tutte quelle situazioni in cui il reale rinvia brutalmente ogni donna alla sua condizione di corpo messo a disposizione. Ma al di là dei vissuti singolari, la debolezza è il prodotto della differenziazione sessuata, ed è costruita come una proprietà intrinsecamente femminile. Giustificata anatomicamente dai medici con la cavità del sesso femminile, rinforzata politicamente dall’idea di uno stato di minorazione delle donne, essa legittima l’insieme del funzionamento patriarcale.

La debolezza femminile è l’insieme della caratterizzazione del femminile: appoggiandosi all’idea di una fragilità biologica e sociale, di una incoerenza tutta femminile, è ciò che rende le donne delle piccole cose fragili che bisogna proteggere.

Di conseguenza, si situa al centro del regime politico eterosessuale: imponendo l’idea della necessità di proteggere le donne da sé stesse, rinviandole al biologico e alle loro funzioni riproduttrici, fonda la loro dipendenza dai poteri che devono prenderla in carico e le rinchiude nella sfera domestica. L’idea di debolezza, lasciando intendere un’incapacità al governo di sé, richiede la regolazione dei comportamenti. È la messa a disposizione del corpo femminile alla possenza mascolina, perché se si tratta di proteggere, si tratta anche di addomesticare. Per farla breve, la debolezza femminile è ciò che priva le donne delle loro vite e le rende governabili.

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