Corpo, relazione, poesia: una (minima e amatoriale) introduzione al vodu

Premessa: ho deciso di pubblicare questa minuscola sintesi delle mie conoscenze sul vodu, anche per darmi il via e stimolarmi a continuare a scriverne più approfonditamente. Non prendete per oro colato ciò che dico: sul tema ci sono diversi libri, tra i quali consiglio fortemente “I cavalieri divini del vodu” di Maya Deren e “Il dio oggetto” di Marc Augé.

Il vodu è la religione/filosofia diffusa sia nel Golfo di Guinea che, attraverso la deportazione schiavista, nell’area caraibica e atlantica del continente americano. Si può definire, quindi, per certi versi una religione afroatlantica, considerato che alcuni aspetti del culto haitiano sono stati accolti nell’area originaria.

In Occidente il Vodu è conosciuto soprattutto per alcuni suoi aspetti decisamente marginali (se non proprio fuorvianti) ma molto cinematografici, come le ‘bambole’ e gli ‘zombies’, ed evoca in ogni caso l’immagine di una religione “animista”, “primitiva”, fatta di superstizione e magia. In realtà, il vodu è un sistema di pensiero enormemente complicato e sofisticato, la cui comprensione per noi – al di là della visione colonialista che l’ha condizionata – è resa più difficile dalle basi filosofiche che lo contraddistinguono in modo molto differente dalle religioni e filosofie euro-asiatiche alle quali siamo abituati.

In primo luogo, il vodu non è una religione di tipo missionario. Come le religioni politeiste europee (quella greca e quella romana), le nazioni africane al momento della conquista di nuovi sudditi semplicemente cooptavano (in varie forme gerarchiche) le divinità del luogo. La conquista, d’altra parte, non era stimolata dalla volontà di guadagnare nuovi adepti alla fede ‘giusta’; chiaramente, la maggior parte delle nazioni, ad esclusione di quelle convertite al cristianesimo o all’islam, condividevano all’incirca la stessa visione del mondo. Il vodu, inoltre, non pone l’accento su particolari principi morali o etici, non nella stessa misura delle religioni europee o asiatiche. Infatti, più che disprezzare il corpo e la carnalità, o ingabbiarlo in rigide regole di comportamento volte a ‘liberare’ l’anima pura dalla peccaminosità della carne, il vodu al contrario si interroga sui limiti del corpo e della materia, fa del corpo un veicolo di messaggi, lo pone in relazione al mistero della materia inanimata..

Per questi motivi, appunto, il vodu non esprime una visione utopica del ‘regno dei cieli’ e non ha questo genere di contenuto politico. Ma, al tempo stesso, non è estraneo alla politica, sia nel suo aspetto istituzionale – di religione ‘di stato’ che regola la sacralità del corpo del sovrano, stabilisce gerarchie tra le persone in base al loro rapporto con le divinità – che in quello rivoluzionario: pare che la rivoluzione haitiana sia nata a partire da una radicalizzazione in senso combattivo di alcune divinità africane e native.. Ma, come detto, il vodu non esprime una tensione verso un’idea precisa di società. Per certi versi, si può dire che il vodu è la società, nel senso che permea tutti gli aspetti della società nella quale viene seguito; ne consegue che non esiste un/a vodu-si (seguace del vodu) al di fuori di una società nella quale esso si pratica. Non si tratta di una filosofia o religione individuale, nella quale l’individuo può fare un percorso autonomo di ricerca della verità o della salvezza; si tratta di una religione sociale, nella quale ogni elemento ha senso solo in relazione agli altri.

Per dirla in termini più concreti, pensare di tenere in casa un proprio ‘altare’ vodu, dedicarcisi in vario modo quando si torna a casa dal lavoro o appena svegli, ‘pregare’ o recitare formule, non ha nessun senso al di fuori di una società voduista, cioè: al di fuori delle comunità dove c’è un hounfor (il “tempio”), gestito da un houngan o una mambo (termini del vodu haitiano). Per quanto l’aspetto esotico e quello esoterico – e macabro per chi ne ha una conoscenza molto superficiale – esercitino sicuramente un grande fascino verso le persone che sentono la necessità di legarsi a qualcosa, o di trovare “un senso nella propria vita”, approcciarsi al vodu con queste intenzioni è inutile oltre che profondamente colonialista. Sono invece convinto che conoscere il vodu come pensiero che cerca di riflettere (in ambo i sensi) poeticamente la complessità della vita, di escogitare strategie flessibili di resistenza e di ricerca di senso e della propria identità, possa dare molti spunti utili sia dal punto di vista personale che politico.

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