People have the power?

1 – L’ambivalenza degli strumenti di comunicazione di massa

Da sempre, l’invenzione di tecniche che rendono la comunicazione più veloce ed economica è sempre stata salutata come un passo fondamentale del progresso dell’umanità. E ciò è innegabile, a meno di volersi addentrare in discussioni sul vero significato del progresso, cosa che non ci compete adesso. La stampa, la radio, la televisione e internet sono state obiettivamente delle vere rivoluzioni, che hanno cambiato radicalmente la vita degli esseri umani in maniera più o meno
rapida ed universale. Non sempre però, gli effetti di questi cambiamenti possono definirsi pacificamente positivi. Se è vero hanno avuto un ruolo indubitabile nel diffondere la cultura e renderne accessibile la creazione e diffusione anche alle “masse”, è anche vero che hanno giocato una parte importante nell’omologazione delle stesse, in particolare la televisione, e non si può scordarne l’utilizzo massiccio da parte dei regimi non democratici a scopi propagandistici.


Allo stesso modo, Internet ha nella nostra società un valore ambiguo: da un lato ha aumentato in maniera esponenziale le possibilità di diffusione capillare della cultura, con strumenti che consentono praticamente a chiunque di trovare informazioni dettagliate sui propri interessi anche più “di nicchia”; dall’altro, la stessa pervasività e flessibilità del mezzo ne evidenzia la possibilità di farne strumento eccellente di propaganda sottile.
A differenza della televisione, che si rivolge necessariamente ad un pubblico indistinto e passivo (per quanto ultimamente questa caratteristica sia meno rilevante), Internet, in particolare con i social network e servizi come Google, scopre le preferenze di ogni singolo utente, le valuta e costruisce messaggi “ad hoc” per ogni genere di persona. Così, se un tempo era un paradosso tutto sommato accettabile fare del “Capitale” di Marx una merce venduta nel mercato capitalistico, oggi tantissimi messaggi, compresi quelli anti-sistema o presunti tali, passano e si diffondono attraverso gli
strumenti del sistema stesso.

2 – “Il popolo di Internet si mobilita”

La frase è diventata uno dei mantra moderni, con gli altri media di massa che utilizzano questa frase con l’atteggiamento del vecchio che cerca di modernizzarsi e fa l’occhiolino ai “giovani del surf”; e così il “popolo di internet” agisce contro la casta, contro leggi assurde, contro cancellazioni di tratte aeree e personaggi da “sbatti il mostro in prima pagina”. In particolare, il social network ormai per eccellenza, ovvero Facebook, ha reso di uso comune questo fenomeno di presunta libertà e democrazia.
Presunto, perché c’è intanto da dire che spesso la cosiddetta mobilitazione si basa su bufale assurde o quarti di verità che, rimbalzando sul web e basandosi sulla fiducia e il condizionamento reciproco, diventano vox dei. Ad esempio, la sollevazione degli utenti più progressisti contro una sentenza della Cassazione che, secondo le immagini e gli articoli di dubbia qualità che giravano su Facebook, aveva in pratica dato via libera alla violenza sessuale in branco. Niente di più falso, ovviamente; ma i guerrieri di queste “battaglie” non sentono più la necessità di informarsi e di costruirsi un punto di
vista. E così, nella rete, si creano verità per tutti i gusti e personalità, impossibili da non “condividere”, a meno di non passare per una brutta persona insensibile ai problemi della società.
Ora, che “Internet” non abbia mai risolto alcuna delle questioni sulle quali si spendono ogni giorno milioni di click è evidente a tutti, altrimenti il mondo sarebbe già diventato un posto stupendo; ma al di là di questo, a costo di sembrare complottisti farfuglianti a bordo strada, si deve asserire che la nascita della mobilitazione via internet non fa che perpetuare l’immagine di un capitalismo “buono”, nel quale gli strumenti di comunicazione di massa con il loro velo di democraticità nascondono sempre più la realtà di sfruttamento dell’uomo sull’uomo che da secoli dura e che è la vera e unica
causa dei problemi, quelli veri, che di tanto in tanto si affacciano come intrusi tra le battaglie virtuali.

3 – Il caso “Kony 2012”

La Ong americana Invisible Children mette in rete, agli inizi di quest’anno, un video che, nel giro di pochissimi giorni, straccia tutti i record di visualizzazione e condivisione su YouTube. Il video tratta del comandante di un esercito sanguinario che semina il terrore in Uganda, tale Joseph Kony; la Ong cerca di convincere gli utenti come sia necessario catturare quest’uomo orribile, e come il modo migliore per farlo sia renderlo “famoso” come una star, per cui la cosa più importante per fermarlo è condividere il video sui social network.
Il video è chiaramente realizzato da professionisti del settore, lo si evince subito dalla grafica moderna, “photoshoppata”, a metà tra le “americanate” cinematografiche e un filmato che chiunque potrebbe realizzare con un buon programma e una videocamera digitale.
Inoltre, il tono è quello dei documentari alla Michael Moore che tanto hanno fatto impazzire le menti più progressiste negli ultimi anni; e la storia, al di là dei pizzi e dei merletti della produzione, è la più classica di tutte: dei bravi bianchi ricchi che aiutano dei neri poveri, in modo profondamente, anche se occultamente, razzista. Senza queste tre caratteristiche (grafica cool, stile battagliero, storia stereotipata) difficilmente il video avrebbe avuto un successo così incredibile. E le obiezioni che vengono in mente sono tante, ad esempio:
– I “bravi bianchi” hanno davvero il diritto di pensare di lavare i propri sensi di colpa con un click e un versamento di pochi dollari, senza sentire il dovere di ripensare alla sostenibilità del proprio modello di sviluppo che è causa, nel resto del mondo, di disastri, schiavitù, tragedie?
– Possiamo davvero credere, come il video vorrebbe, che Kony è così malvagio solo per il gusto di esserlo? Certo, un ruolo del genere non è di sicuro adatto a un pacifista, ma in un territorio ricco di risorse naturali e da sempre al centro della violenta geopolitica
occidentale, dipingere un cattivo così fiabesco è un insulto all’intelligenza umana.
Ma soprattutto, sono quelle tre caratteristiche (cool, battagliero e stereotipato) che fanno di questo video un simbolo dell’ambivalenza del mezzo di comunicazione di cui si parlava in precedenza:
certo, il messaggio di fondo è utile e positivo (si può forse pensare di stare dalla parte di Kony?) così come mobilitarsi per una causa è, in generale, una cosa estremamente giusta e sacrosanta. Ma il discorso ha dovuto ridurre il proprio valore informativo per essere vendibile, puntando molto più sull’indignazione istintiva che sulla comprensione. E ancora più gravemente, nel farsi bello agli occhi dei più, addirittura perpetua e amplifica discorsi di dominazione ed oppressione: il bambino bianco, biondo, quasi un angelo al cospetto del bambino nero, che parla al buio, piange e chiede l’aiuto di noi occidentali buoni; la mobilitazione colorata della Ong che riesce a convincere l’apparato militare americano ad intervenire (con la grazia ed il disinteresse che possiamo immaginare) per catturare il cattivissimo Kony che ha fatto piangere il povero bambino nero. Come dire, l’unica salvezza per l’Africa è continuare ad implorare i “buana” di salvarli dall’orco cattivo.
Non solo ciò è dannoso per il continente africano (che pure vede nascere e crescere movimenti di lotta molto più concreti e indipendenti dal nostro “placet”), ma per la nostra stessa consapevolezza, che grazie a video come “Kony 2012”, difficilmente si schioderà dalla presunzione di essere gli angeli che salveranno il pianeta dalla fame e dall’orrore con un click del mouse.

4 – L’importanza dei filtri “fisici” all’informazione

Per secoli, l’informazione è sempre passata attraverso “filtri” formati dalle comunità, dalle idee condivise, che consentivano una ricezione mediata da una weltanschauung che era allo stesso tempo “data” alle persone, e costruita dalle persone stesse. Questo consentiva di valutare l’importanza e la pregnanza delle notizie in base alla propria identità ancora forte e non spersonalizzata e anomica. Il discorso, il linguaggio, erano ancora sotto il controllo di chi lo aveva creato. Oggi, la quantità immensa e incontrollata di informazioni che investe gli individui, attraverso mezzi di comunicazione brillanti e coinvolgenti che nascondono la realtà e danno al linguaggio un’intelligenza artificiale quasi indipendente dalla nostra volontà, fa sì che la produzione e il “consumo” della cultura e dell’informazione siano sempre più omologati e massificati.
Solo riappropriandosi del valore della comunità, intesa nel senso più aperto ed ecumenico possibile, ma pur sempre una comunità fisica, che condivide bisogni e progetti e nella quale la fiducia reciproca si costruisce nel tempo e nello spazio concreto, Internet avrà il ruolo preziosissimo che per ora è perlopiù potenziale.

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