Il dono della sintesi

Esprimere un concetto in poche parole. Petit morceaux. Wordbites. Linguaggio matematico, universale.

E’ facile e anche legittimo confondere la semplicità con la sintesi. Ma c’è una grossa differenza. La sintesi non è semplice, è solo vendibile. E’ più facile far passare un messaggio “semplice” (leggi “sintetico”) dove c’è (per usare un’immagine molto comune) un “negretto che piange e ha fame”; molto meno sintetico è descrivere e comprendere la realtà dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Deleuze diede atto a Foucault di aver insegnato che “non si può parlare a nome degli altri”. Questo è sacrosanto. Perché la realtà, la mia in cui vivo e a mio modo sono proletario, non può essere immediatamente comprensibile a chi non la vive (o la vive in luoghi e modalità diverse) se non per mezzo di sintesi che utilizzano un linguaggio universale: ma nel momento in cui diventa universale perde necessariamente la sua carica di “verità”, al massimo può diventare un effetto di verità. Marx nella sua genialità era riuscito a trovare il tempo e il modo di scrivere un opera monumentale come “Il capitale”, di certo ostica, difficile da leggere, ma proprio per questo “vera”. Perché in fin dei conti, la verità non può stare dentro a un wordbite, la verità, forse l’essenza vera dell’uomo è nel discorso. Foucault cerca di spiegarlo nei suoi commenti alle opere di Blanchot, Hannah Arendt arriva alle stesse conclusioni, e forse il mondo è stato davvero libero solo finché l’essere umano ha mantenuto il legame stretto con la sua parola, finché è stato annodato, connesso, rappresentato direttamente dal suo DISCORSO. Un discorso irriducibile, fluente, forse assoluto, totale. La realtà del discorso, della parola che, quando si libera dai legami con il suo produttore, diventa un’arma ambivalente dalla potenziale brutalità inaudita.

E’ abbastanza banale notare come la condizione di un/a cassintegrato/a in Italia sia, secondo i nostri canoni, molto migliore di quella di un uomo/donna che vive senza accesso ad acqua potabile e cibo minimamente commestibile. Ma non si può ridurre questa differenza a un petit morceau de mot, soprattutto rendendo mediaticamente spettacolare la condizione dei secondi minimizzando quella dei primi, né trattarle allo stesso modo sintetico come “poveracci”. Perché queste condizioni, che spesso si concretizzano in lotte, da un certo punto di vista sono battaglie contro la stessa “cosa”. Ma questa “cosa” non si può definire in una parola, è facile ed usuale definirla “sistema”, ma questa parola è una sintesi che grida vendetta. Può essere sicuramente considerato giusto e per certi versi auspicabile che le persone che si trovano in queste due condizioni così diverse abbiano un dialogo e uno scambio di informazioni; ma perché il dialogo sia efficace e non meramente efficiente questo dialogo deve essere continuo, lungo, non sintetico, deve andare oltre e calpestare, sorpassandola, la presunta semplicità del linguaggio universale delle immagini mentali.

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