I pupi italiani

L’Italia è un capolavoro. Un’eccellenza nel campo delle tecniche di dominazione e strategia del consenso. A differenza di altri Paesi, dove le persone scendono in piazza spesso con obiettivi e piattaforme programmatiche forti, il nostro Paese conserva un elemento straordinario che è la maggior garanzia per la preservazione dello status quo: la speranza.

In Spagna e in Grecia, la conformazione del sistema politico ha permesso di fare chiarezza sulla necessità di scegliere fra la fedeltà alla via istituzionale al cambiamento e il totale disprezzo per le istituzioni e la ricerca della via radicale. Una scelta resa lampante dal coinvolgimento totale del sistema politico, in tutti i suoi protagonisti, nell’arena mediatica e sociale, tanto da consentire ben poche “speranze” nel futuro. O dentro o fuori. Da qui, grosse manifestazioni, scontri grossi, resistenza fisica.
In Italia, tutto ciò non accade. Perché la situazione è talmente eccezionale che sembra creata ad arte, e forse per certi versi lo è, fermo restando la casualità del destino. Questo Paese ha vissuto un ventennio nel quale la scena è stata dominata da un miliardario privo di sangue blu politico, all’ombra del cui istrionismo si è riparata una classe politica che, nella sua totalità, è clamorosamente ipocrita, collusa e inabile. Ma proprio grazie a questo grande nemico, Berlusconi, capace di scaldare gli animi dei cittadini e di tenerli incollati alle sue vicende in maniera maniacale, si è creata una predisposizione d’animo all’attesa di un nuovo messia, Orlando o Rinaldo che sia: la speranza, appunto. La situazione di oggi fa gridare al miracolo qualunque scienziato politico: una situazione di tensione continua, nel quale tutti hanno un ruolo ambiguo. Il Presidente della Repubblica è un mafioso indagato dalla procura di Palermo, ma al tempo stesso ha messo alla porta Berlusconi, il mafioso principe dell’immaginario collettivo di molti italiani; così facendo, ha salvato il Paese dal tracollo finanziario, ma lo ha consegnato alla dittatura tecnocratica imposta dai “tedeschi”. Gli stessi tedeschi da sempre invocati come simbolo di efficienza e serietà nella politica, ma anche dei bastardi che stanno affamando il Paese rubandogli la sovranità. Il Presidente del Consiglio è un po’ di destra, sì, ma se non altro non fa le cornine agli altri leaders europei; è una persona distinta, a modo, perfettamente rispettosa della libertà democratica ma anche un figlio di puttana che ci sta imponendo scelte che vanno contro la Costituzione (la stessa Costituzione per alcuni troppo di destra e per altri troppo di sinistra). I partiti che sostengono l’attuale governo lo fanno, sì, ma non mancano di bacchettarlo, a volte apparentemente in modo perentorio, ma in realtà senza cambiare la situazione neanche di mezza virgola. Di Pietro ha ragione a stare contro il governo; ma d’altra parte alle prossime elezioni non vorremo mica che vinca Berlusconi? E allora bisogna che si faccia un nuovo centrosinistra. La speranza è che Vendola vinca le primarie. O, per altri, che le vinca Renzi. Per tanti altri invece la speranza è che Grillo faccia piazza pulita. Non parliamo poi dei sindacati, per vent’anni a testa china e che ogni tanto lanciano una pietruzza nello stagno, così, tanto per far gracidare qualche rana.
Tutto ciò, volutamente descritto in un periodo confuso e senza pause, crea una situazione di attesa, di eccitazione, di speranza: tutti pronti a scoppiare in un’esultanza liberatoria non appena si risolverà. Un po’ come quel famoso indovinello del gallo che fa l’uovo sul tetto di una casa: cadrà a destra o sinistra? Tutti ad abbracciarsi stretti, a fischiare e ad agitare le bandierine colorate, sperando che.. Sperando che Bersani faccia l’alleanza, sperando che Berlusconi si ricandidi, sperando che Grillo diventi dittatore unico, sperando in un golpe militare che faccia un bel repulisti, sperando che in tutto questo ci sia un lavoro anche per “me”. Viva Orlando, viva Rinaldo!
Ma il gallo non fa le uova.

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