un messaggio antifascista dalle ombre dell’Europa Centrale e Orientale

(testo originale qui)

L’imperialismo russo porta nell’Europa centrale e orientale fascismo e genocidio mascherati nel linguaggio dell’antifascismo. Lx antifascistx di questa regione hanno per primx richiamato l’attenzione sul supporto pericolosamente sistematico e massiccio dato dalla Russia ai movimenti ultranazionalisti e neonazisti in tutta Europa fin dal 2014. Oggi il supporto tacito è diventata guerra aperta, e lx antifa mandano un messaggio – la Russia deve essere sconfitta ed espulsa ad ogni costo, o la morte, l’oscurità e la sottomissione verranno nella nostra terra, e ogni attività di emancipazione, così come coloro che la supportano, si ritroverà con un proiettile in fronte.

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Se avessimo una macchina del tempo e potessimo portarvi indietro ad incontrarci nel passato lontano e recente, sapete che cosa vedreste guardandovi intorno?

L’impero russo a est, quello tedesco a ovest e quello turco a sud. Tre imperi, tante forme storiche diverse, e un’ambizione troppo spesso condivisa, la ‘malattia’ di ogni impero, quel bisogno di espandere la propria sfera di influenza, di occupare gli spazi che ha intorno, di conquistare.

E sapete cosa vedreste in mezzo a loro, nella loro ombra? Piccole regioni ed entità politiche, storicamente, geograficamente e linguisticamente varie, dall’Estonia alla Romania, dalla Repubblica Ceca all’Ucraina, che sopravvivono ancora oggi nonostante gli imperi, e a volte nonostante sé stesse.

Vecchia mappa satirica dell'Europa della Prima Guerra Mondiale, nella quale gli stati sono rappresentati come animali o persone. Il titolo è "Kill that eagle", riferito agli imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria).

Benvenutx nella nostra terra, l’Europa centrale e orientale (ECO).

Una regione storicamente definita dalla stretta in mezzo ai tre imperi.

Una regione che non è definita dalle rive dell’Oceano, ma dai confini esterni e dalla geopolitica – cioè, dalle volontà degli imperi vicini di sconfinare e soggiogarne una parte – come la Cecoslovacchia nel 1938 e 1968, la Polonia nel 1939, i Paesi baltici nel 1940, l’Ungheria nel 1956.

Una regione dove i piccoli a volte devono creare alleanze controverse per resistere agli imperi.

Una regione la cui voce e la cui prospettiva vengono cronicamente sottovalutate e ignorate.

Una regione che non è il ricco Ovest o Nord, non è l’Est popoloso, né il Sud povero.

Una regione che torna adesso a vedere a rischio la propria vita e la propria identità – perché mentre la Turchia contemporanea dirige le sue ambizioni imperiali verso est, e la Germania ha visto una trasformazione che si spera abbia spento per un lungo tempo le sue aspirazioni, è la Russia di Putin a continuare a tenere il fronte della politica imperiale contro l’ECO, e contro altre regioni che considera la sua “sfera di influenza”.

Contro “il fascismo antifascista”

Quando il nostro movimento antifascista organizzato è emerso negli anni ’90, la situazione era chiara. L’impero sovietico era svanito insieme all’ideologia del comunismo di Stato, ed era l’ideologia nazi che cominciava a lasciare il segno nello spazio post-sovietico. Attacchi e omicidi razzisti erano diffusi, la polizia comunista spesso fingeva di non vedere, ed era chiaro per noi che nessuno avrebbe fatto questo lavoro al posto nostro. Così abbiamo iniziato a denazificare noi stessx il nostro spazio.

Ma la situazione ha cominciato gradualmente a cambiare. Mentre riuscivamo a disperdere le bande di naziskin, al posto loro si affacciava un nuovo nemico: autocrati, autoritari, nazionalisti, tradizionalisti di ogni genere, che per quanto più puliti, volevano in pratica le stesse cose della feccia rasata – uno stato conservatore nazionalista.

Negli ultimi anni abbiamo guardato con estremo sospetto le tendenze dominanti “imbrunirsi” in molti luoghi, ma soprattutto in Russia. La Russia è diventata un regime che, fin da quando Putin ha preso il potere, si è evoluto in un’autocrazia conservatrice, legata strettamente alla Chiesa Ortodossa, un regime che non solo reprime, espelle e uccide ogni tipo di opposizione politica, i media indipendenti, le attività progressiste e le minoranze LGBTQI+, ma dà anche uno spazio considerevole agli ultranazionalisti e tollera i neonazisti come parte di una strategia di diffusione tra la popolazione di un credo basato sulla Grande Russia imperiale. Non solo: mentre i neonazi abbondano nei gruppi paramilitari russi come Wagner e Rusich, ci sono anche prove di legami tra i neonazi locali e il servizio segreto FSB.

Una donna in piazza tiene in mano un cartello con una scritta in caratteri cirillici. Traduzione nella didascalia.

“Prenderò una multa di 50.000 rubli per questo poster. Sto qui per te e per il futuro dell’Ucraina. Non essere indifferente. In questo momento in Ucraina muoiono dei bambini e le madri russe perdono i loro figli. Non dovrebbe essere così”.

Se la Russia di Putin si nasconde dietro l’ideologia di “antifascismo” che promuove tramite organizzazioni giovanili nazionaliste come Nashi, i veri antifascisti che combattono i neonazi in Russia finiscono in prigione, in esilio e nelle camere mortuarie. È estremamente assurdo che la Russia stia confezionando con il linguaggio dell’antifascismo il proprio “imbrunirsi”, l’essere diventata negli ultimi due decenni il centro mondiale di autocrazia, tradizionalismo, ultranazionalismo, censura, conservatorismo, estrema destra, sciovinismo e “anti-fascismo” in versione russa.

Volete una prova quantificabile? Che ne dite del numero di omicidi politici commessi da aderenti dell’estrema destra? Solo tra il 2000 e il 2017 in Russia ce ne sono stati 459. Nel resto d’Europa, tra il 1990 e il 2015, ce ne sono stati 330, incluse le 77 vittime di Anders Breivik. Quindi, se c’è un paese che ha bisogno di una profonda denazificazione, questo è sicuramente la Russia.

E non solo: intorno al 2014 e nel contesto dell’invasione della Crimea, ma anche del ritorno a una politica estera interventista basata sulle sfere di influenza, la Russia ha cominciato a esportare questi prodotti. No, la Russia non esporta solo gas naturale e petrolio, ma anche fascismo e ultranazionalismo. Come hanno dimostrato molti accademici, e le nostre indagini su www.antifa.cz, la Russia negli ultimi otto anni ha cominciato a supportare, sia dal punto di vista finanziario e materiale che tramite la disinformazione sistematica sul web, non solo gruppi di sinistra autoritaria ma anche gruppi esplicitamente ultranazionalisti e neonazisti – LSNS in Slovacchia, AfD in Germania, Orbán in Ungheria, l’FPÖ in Austria fino a Le Pen in Francia. Oggi sappiamo che questo faceva parte di una più ampia strategia che è culminata nell’aggressione all’Ucraina, la spinta a riconquistare l’ECO e riportare la Russia ai confini e alla sfera d’influenza imperiale dell’Unione Sovietica. Dopo 30 anni, l’Impero dell’Est vuole tornare per strappare più spazio possibile da noi, per prendere il controllo usando, tra le altre cose, una quinta colonna minuziosamente coltivata di partiti e movimenti ultranazionalisti europei che sono nelle sue mani.

Combattere per la vita della regione

La nostra regione sta ancora una volta combattendo per la sua vita – e questa non è una metafora, un’esagerazione, una giravolta retorica, ma una realtà tangibile, i contorni della quale si possono vedere oggi a Bucha, Irpin, Hostomel e molti altri luoghi. Quello che sta succedendo in Ucraina non è altro che un genocidio. Dopotutto, è ciò che Alexander Dugin, la voce ideologica del regime di Putin, ha richiesto fin dal 2014, quando ha descritto la gente ucraina come “razza bastarda”. In questo senso, le azioni dei soldati russi non sorprendono. Sotto la bizzarra veste della denazificazione, in Ucraina si sta realizzando uno dei pilastri del nazismo: una politica di sterminio. “Un nazi”, dice lo storico Timothy Snyder a proposito del nazismo secondo la Russia, “è un ucraino che si rifiuta di ammettere di essere russo”. Se oggi ogni ucraino è un nazi agli occhi della Russia, così è persona dell’ECO, soprattutto noi antifascistx organizzatx.

Foto di Alexandr Dugin, alle sue spalle la scritta

Alexandr Dugin

Il regime di Putin in Ucraina non sta uccidendo solo la popolazione, ma le condizioni stesse della vita civile. Perché se l’impero russo vince, ogni attività sociale, emancipatoria, libertaria, anarchica, femminista, antifascista, ecologista, autonoma, per i diritti umani e legata alle sottoculture sarà abbattuta, e con essa chi le difende e rappresenta. Come accade già nella Russia contemporanea.

In questo senso, la guerra in Ucraina oggi non riguarda solo la vita di oggi, ma anche le condizioni della vita futura. E la popolazione locale ne è perfettamente consapevole, il che spiega perché così tanta gente comune si unisce alla battaglia, ben al di là della cosiddetta difesa territoriale, per difendere le proprie case. Uno dei volontari dell’organizzazione di Lviv Operation Solidarity (oggi Solidarity Collectives, NdT) nota: “se i russi occupano [l’Ucraina] uccideranno ogni persone politicamente attiva, a prescindere [dalle sue visioni politiche]… se la battaglia è persa, non resterà nessuno, [né destra né sinistra], verrà tutto sradicato”. L’alternativa è tra l’assoggettamento all’impero, lo sterminio, la colonizzazione di un’autocrazia conservatrice, o la difesa di un mondo che non sarà ideale, ma che se non altro consente di coltivare la diversità, espandere le alternative, e non combatte il dissenso con la prigione, l’esilio o la pistola. Lo dice ancora più chiaramente un altro volontario di Operation Solidarity in Ucraina: “Non siamo innamorati dello Stato ucraino, che è neoliberista più che nazista o autoritario, e ha tanti problemi, tra oligarchia, la corruzione, la distruzione delle reti di sicurezza sociale, la violenza poliziesca e fascista ecc. Allo stesso tempo però l’Ucraina è un luogo dove da un lato c’è un controllo statale relativamente basso ma in crescita, e dall’altro è uno spazio di poteri sociali progressisti che si stanno sollevando. Perciò resistiamo perché ne va del nostro futuro (fisico e politico). Se la Russia vince, ogni progresso che abbiamo ottenuto con la lotta sociale sarà violentato, calpestato e distrutto”.

Con queste prospettive all’orizzonte, non sorprende che sul fronte contro l’invasione russa si possano incontrare rappresentanti di ogni tendenza politica, stile di vita, corrente culturale e classe sociale, dagli attivisti per i diritti degli animali, alle persone più povere e quelle più ricche della società, rappresentanti delle sottoculture musicali giovanili o delle organizzazioni per i diritti umani, ultras antifascisti o anarchici organizzati.

La loro diversità va ben oltre la visione dello Stato russo, la cui propaganda cerca di convincere che solo i nazionalisti e nazisti ucraini gli si oppongano.

L’obiettivo è chiaro e condiviso da tuttx: fermare l’imperialismo russo con ogni mezzo e sconfiggerlo con la forza. Grazie alla nostra esperienza storica nell’ECO, sappiamo che questa è l’unica cosa che funziona con la Russia, l’unica che capisce. Una politica di pacificazione non funzionerà, come l’Europa dovrebbe ben ricordare dagli eventi che hanno seguito gli Accordi di Monaco con Hitler del 1938, fatale errore già commesso. Non farà altro che invitare l’impero ad espandersi ancora.

Due mitragliatrici posate su una scacchiera sopra un prato.

E in questo nuovo compito di mettere a dormire questo orgoglio imperiale (come recita la campagna degli anti-autoritari ucraini GNIP – Good Night Imperial Pride) non abbiamo altra scelta che allearci, in modo situazionale e posizionale, con praticamente chiunque… così come gli antifascisti erano disposti ad allearsi con chiunque nella lotta contro la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. In una guerra che sta annientando la vita di un’intera regione, non c’è altra opzione. Certo, quando Putin perderà, ci sarà il problema dei nuovi ultranazionalisti catalizzati dalla militarizzazione, ma questo problema sarà di una dimensione completamente diversa, e infinitamente più risolvibile rispetto a una vittoria del Putin imperialista che penetra ancora più all’interno dell’Europa, imponendo una nuova età oscura e minando ulteriormente l’Unione Europea con il supporto della sua quinta colonna di partiti e movimenti nazionalisti.

Questa è la nostra posizione e la nostra prospettiva – il messaggio da alcuni nativx locali, nello specifico anti-autoritarix e anti-fascistx, che sono di casa nell’Europa Centro Orientale, che la difendono e la difenderanno contro ogni forma di oppressione per quanto possibile. Inviamo al mondo la nostra prospettiva, basata su una visione pratica, sulle nostre vite, la nostra esperienza e determinazione, ma anche la paura per il futuro dei nostri figli e delle nostre figlie.

Ma qualcuno la ascolterà? Verrà presa sul serio? Speriamo di sì, ma abbiamo anche paura che non succederà. Perché? Perché la voce della nostra terra viene ignorata in questa guerra così come lo è stata per tanto tempo prima. Ignorata e invisibile.

Il contenitore vuoto dell’Europa centrale e orientale

Leggendo i testi scritti in Occidente e soprattutto dalla sinistra occidentale sulla guerra, fin dal suo inizio, vediamo tre cornici principali che inquadrano gli eventi ucraini: simmetria, generalizzazione e ideologia.

Nella simmetria, il conflitto viene presentato come uno scontro tra due superpotenze uguali, spesso la Russia e la Nato, o la Russia e gli Stati Uniti, o meno spesso, la Russia contro l’Unione Europea. Questa è la visione secondo la quale bisogna sempre cercare un qualche grande gioco di superpoteri dietro tutto, uno scontro di imperi per le sfere di influenza sulla scacchiera globale, riducendo l’Ucraina a una marionetta controllata da un potere superiore. Questa visione non è condivisa solo da tante organizzazioni politiche, ma anche da importanti intellettuali e politici occidentali – da Jeremy Corbin a Noam Chomsky e Yanis Varoufakis. Questo atteggiamento, che considera capaci di azione politica solo gli imperi e le superpotenze, è così comune e ricorrente in Occidente che gli è stato dato un nome – a volte viene chiamato narcisismo imperiale, a volte eccezionalismo occidentale, ma più spesso “westplaining”. Il westplaining è stato criticato tante volte – specie da diversi autori della nostra regione (ad esempio, il testo di Zosia Brom). Il pericolo principale del westplaining sta nell’attribuire la capacità di agire solo all’Occidente e agli Stati Uniti, il che porta nella critica della guerra un anti-imperialismo autocentrato che ignora l’azione degli attori non-occidentali, i loro bisogni e i loro atteggiamenti. In un contesto leggermente diverso, l’autrice e attivista anglo-siriana Leila Al-Shami ha coniato il termine “anti-imperialismo degli idioti” per criticare la posizione di coloro che vedono solo il ruolo degli USA ma non quello della Russia, dell’Iran o di Assad in Siria.

Nel caso della guerra in Ucraina, l’anti-imperialismo degli idioti non porta tanto a ignorare il ruolo della Russia, quanto a mettere sullo stesso piano, in simmetria, le due parti del conflitto, risultando nella relativizzazione della guerra e la smobilitazione del supporto. Di fatto, si finisce col dire che entrambe le parti sono responsabili della guerra e che è problematico prendere una posizione in un conflitto simile.

Tramite la generalizzazione e la moltiplicazione, il conflitto viene presentato, invece, come un esempio generico di guerra a cui bisogna opporsi in modo altrettanto generico, oppure come una delle tante guerre che si stanno combattendo nel mondo e alla quale ci si deve opporre all’unisono, perché sono tutte guerre sullo stesso scacchiere globale. È una visione che feticizza le prospettive globali, l’universalismo e le somiglianze astratte a discapito delle specificità e del contesto concreto. Cerca denominatori globali comuni per poter dire che tutte le guerre sono capitaliste e neoliberiste, e condannarle quindi in modo unificato così da non dover scegliere da che parte stare. In una visione così, la prospettiva locale e regionale sarà sempre considerata, per natura, incommensurabile, umiliata, provinciale, immatura e incompleta al confronto di quella globale.

Ultima, ma non meno importante, l’ideologizzazione presenta il conflitto come un mero tema di opinione e discussione, dove la purezza delle posizioni ideologiche mette in secondo piano le proposte pratiche, realistiche e strategiche per risolverlo se queste prevedono alleanze controverse. È un approccio per sua natura senza rischi – coltivato dalla comodità di una casa sufficientemente lontana per non ricadere nella sfera di influenza mortale del neo-imperialismo russo. È in definitiva una strategia d’uscita quella di non combattere un nemico specifico, per nascondersi nelle pieghe di un’ideocrazia privilegiata, di attitudini astratte e generiche, relativizzando e simmetrizzando, per continuare a vivere la propria vita senza preoccupazioni da qualche parte lontano dall’Ucraina. In questo caso, la guerra non è più una questione di vita o di morte, ma solo di opinioni e ideologia.

Cosa hanno in comune queste cornici di interpretazione? Due caratteristiche chiave – il disprezzo per le voci dell’Europa Centrorientale e l’adozione della logica di Putin. Nel completo disprezzo delle nostre prospettive, delle nostre voci e posizioni, la nostra regione viene implicitamente intesa come uno spazio senza una propria capacità di agire e di decidere liberamente, e quindi senza la propria agenzia e rilevanza per il mondo… un contenitore vuoto nel quale si possono versare a piacimento le versioni della storia scritte dalle grandi potenze. L’Europa Centrorientale viene vista qui come troppo piccola, frammentata, diversa, banale, senza una propria storia, e troppo insignificante per influenzare attivamente il corso della storia. Diventa quindi un oggetto passivo – ridotto a una mera “sfera di influenza e interesse”, una “zona cuscinetto” o uno “spazio spendibile”.

Questo disprezzo è anche utile al gioco del Cremlino. Come hanno dimostrato Smoleński e Dutkiewicz, nello schema del westplaining vengono riconosciute le preoccupazioni della Russia ma non quelle dell’Europa centrorientale. È in effetti il Cremlino, come Putin ha mostrato alla Conferenza di Sicurezza di Monaco nel 2007, a immaginare il mondo come uno scontro di grandi imperi che tirano le fila delle sfere di influenza, dove le piccole regioni come la nostra non esistono come entità indipendenti, distinte e degne della propria voce e di rispetto. Chiunque operi la simmetria, generalizzi o ideologizzi in questo contesto di guerra diventa un utile idiota di Putin.

Colonialismo per noncuranza

Come comprendere un simile disprezzo per le nostre voci e posizioni, soprattutto in una guerra che riguarda prima di tutto la nostra regione? Come una variante specifica di colonialismo. Sì, colonialismo. Non è quindi solo la Russia a prendere una posizione verso l’Europa centrale e orientale, ma in qualche modo anche l’Occidente con il suo ricco passato coloniale. Perché una variante specifica? Perché, da parte dell’Occidente, è un colonialismo diretto verso la semi-periferia nell’asse Est-Ovest e non la periferia del Sud globale. Si realizza non tanto tramite la violenza fisica, lo sterminio, l’assoggettamento e la dominazione, come nel caso del colonialismo russo, ma piuttosto disprezzando e ignorando l’alterità e la specificità della regione, derivate, tra le altre cose, dalla sua storia nella stretta tra i tre imperi.

Sottovalutando il colonialismo occidentale, lo vediamo come un processo di natura più a lungo termine, impresso, lo ammettiamo facendo autocritica, non solo su di noi nell’interminabile tentativo di recupero dell’Occidente a partire dagli anni ’90, ma anche nelle lotte anti-autoritarie precedenti – la nostra voce sminuita all’interno del movimento no-global, ma anche, un decennio dopo, nei movimenti contro l’austerità, pensati principalmente lungo un’asse Nord-Sud, fino al paternalismo di alcuni gruppi e piattaforme antifasciste tedesche. No, non c’è spazio in questo testo già abbastanza esteso per un’analisi dettagliata di questo colonialismo, ma c’è per esprimere un deciso rifiuto e la volontà di decolonizzazione dell’Europa centrorientale motivata dalla guerra. Come?

Un mondo in cui tanti mondi possono stare, compreso il nostro

Come decolonizzare l’Europa centrorientale allora? Niente di nuovo sotto il sole. Imparare dai processi di decolonizzazione attraverso i quali l’Occidente sta imparando a cambiare rispetto ai luoghi delle sue vecchie colonie. La regola di base è: imparare ad ascoltare, e quindi a prendere sul serio, le voci delle persone locali nella loro alterità, e riconoscere che ogni voce, incluse quelle che vengono dal centro imperiale, prendono forma nel contesto e nello spazio in cui sono state prodotte.

In altre parole, la prospettiva è importante, come dice perfettamente un attivista della Bielorussia in una serie di interviste che danno spazio a voci anarchiche da Ucraina, Bielorussia e Polonia sulla guerra attuale: “è evidente che lUna croce nera dalla quale sorge un pugno che stringe una rosa.e persone parlano dal loro punto di vista, quello dei luoghi in cui vivono, dalle realtà che vivono e dalle battaglie e lotte in cui sono attive. Ho vissuto tutta la vita in quella che è essenzialmente una colonia di Mosca… Quindi la mia prospettiva è formata da un nemico diverso”.

Rispetto alla guerra in Ucraina è necessario attivare le stesse capacità di ascolto e riconoscimento che le persone del Nord e Ovest globali imparano nei loro viaggi solidali nelle zone di guerra, tra lx Zapatistx del sud del Messico o nel Rojava. Dopotutto, quando lx zapatistx dicono di volere un mondo che possa ospitare tanti modi, per dire che la visione dal loro angolo di mondo è originale e rispettosa, siamo perfettamente d’accordo con loro. E aggiungiamo – uno di quei mondi è il nostro, con la sua prospettiva unica formata storicamente dalla stretta tra gli imperi e la sua attuale posizione, descritta dalla concreta minaccia alla sua vita e specialmente la vita ucraina. E sono le voci dall’Ucraina che oggi dobbiamo ascoltare prioritariamente, per essere in piena solidarietà con loro e per prendere sul serio le loro parole. Come fa notare il giornalista ceco Ondřej Bělíček, “In tutti questi dibattiti geopolitici sulla Nato e sulla Russia, non dobbiamo dimenticare gli ucraini e le ucraine e il loro diritto a scegliere il proprio futuro. Per decenni, il loro paese è stato il terreno di gioco delle ambizioni geopolitiche di blocchi imperiali rivali. Dobbiamo sostenere la loro battaglia per difendere l’indipendenza”.

Chiaramente, non stiamo dicendo di ascoltare gli oligarchi ucraini. Né di ascoltare gli ultra-azionalisti come Pravý sektor, la cui influenza in Ucraina, a beneficio di Putin, viene grandemente esagerata e non può essere paragonata, per esempio, a quella che hanno partiti presenti in parlamento come la AfD in Germania, Russia Unita in Russia o politici come Orban in Ungheria o Le Pen in Francia. A questo proposito, siamo pienamente d’accordo con l’antifascista autonomo ucraino che dice “diverse migliaia di nazi, con un sostegno elettorale minimo in un paese di 40 milioni di abitanti, non sono né una minaccia né una ragione per invadere… Sì, ci sono nazi in Ucraina, come in altri paesi. No, non abbiamo bisogno dell’aiuto di Putin o di altri autoritari per occuparcene. Lo facciamo per conto nostro”.

Noi suggeriamo di ascoltare prima di tutto le voci delle persone comuni e degli attivisti organizzati che, in modo pratico, silenzioso e senza fanfara mediatica, si sono unite alla difesa armata dell’Ucraina e alle reti di mutuo soccorso, dal basso, contro le autorità, antifasciste e nello spirito di anarchici ucraini impegnati come Nestor Makhno. Pensiamo alle iniziative come Operation Solidarity, che dice: “Non vogliamo morire, non vogliamo fuggire, non vogliamo obbedire, non abbiamo questo privilegio. Siamo incazzati neri e vogliamo la nostra libertà!” o il Resistance Committee/Anti-Authoritarian Union, che scrive: “La volontà di opporci all’aggressione imperialista russa ci ha portato alla guerra. Siamo qui per sconfiggere gli occupanti e difendere il popolo ucraino, la sua libertà e la sua indipendenza”.

Noi siamo con loro.

Sii anche tu con noi.

Siamo tuttx ucrainx oggi.

Російський військовий корабель, иди на хуй!

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