Trasponsonic: Intervista a M. S. Miroslaw

Trasponsonic,

Intervista a Mirko Santoru (M.S. Miroslaw)

Nasprias, territorio di Macomer 9-6-2012

-Perché Ieri non avete suonato?

(Il giorno prima uno dei progetti della Trasponsonic doveva suonare insieme ai finlandesi Circle in un evento prodotto collaborando con l’associazione culturale In C# di Borore, sorella della Trasponsonic)

(Ride) Prima domanda? Ehh, problemi logistici.. ogni volta che organizzi concerti vorresti suonare anche tu , ma spesso si manifestano problemi di varia natura etc, poi naturalmente ogni volta vorresti contraccambiare, scambiare la tua musica con quella che ti hanno appena fatto sentire, per presentarti..

-Perché lo scambio può portare a nuove “alleanze”?

In questo “mondo”..chiamiamolo così, i concerti, i contatti degli organizzatori e musicisti si sviluppano tutti per contatto diretto, è difficile che tu mandi una mail ad un locale e questi ti fanno suonare, anche se gli mandi il curriculum più grosso del mondo, ci deve essere sempre una connessione “parentale”, in un certo senso; di conoscenza diretta e materiale o per via di amici che hanno partecipato ad un concerto. In un certo modo potremmo definirla quasi tribale.

-Interessante , anche perché si rivaluta il fattore umano, quello che potremo definire il commercio nel senso nobile del termine.

Esattamente, che poi tra etichette, tra gruppi diventa uno scambio, è un commercio diverso , si sviluppa in maniera differente da quanto succede per le major, ossia il sistema capitalistico di gestione della musica. Anche l’indipendente sogna sempre di crescere..

-Nel senso di potersi permettere un maggior numero di produzioni?

No, nel senso di allargare il proprio pubblico, di aumentare le possibilità che la tua musica arrivi ad un numero di persone più esteso.

-Quindi sognate un po le major?

No, assolutamente! Le major hanno un funzionamento puramente commerciale. Loro quando lanciano un prodotto,sanno benissimo che venderà, perché ha un target , un mercato, lo piazzano e vendono migliaia di copie. Invece nella scena indipendente chi fa musica lo fa di solito per un bisogno fisiologico, un urgenza comunicativa, perché stai vivendo qualcosa e lo vuoi comunicare. Principalmente con la musica ma non esclusivamente con questo mezzo.

-Certo, non solo con la musica ma anche con il situazionismo e poi creando nuovi spazi di scambio culturale, che purtroppo rimangono anche troppo nascosti, mi pare..

Non è questo che lo crea, piuttosto lo manifesta. Da un punto di vista quasi etnografico, da qui deriva la nostra collana ETNOGRAPHIES prodotto da il collettivo HERMETIC BROTHERHOOD OF LUXOR che è il nostro progetto che sta avendo maggiore visibilità, ed anche quello che personalmente sto “spingendo ” di più. Perché noi per anni abbiamo lavorato di puro istinto,

di puro ludismo sonoro, chiamiamolo così, ma prima le energie erano tutte sparse, nel senso che ognuno del collettivo era (e rimane) indipendente, ma con questo progetto abbiamo cercato di coordinarci e di dare una forma più unitaria al nostro lavoro, per creare un concentrato di tutto ciò che abbiamo fatto fin ora e che sia veicolo di diffusione della nostra musica. Così è successo che ci siamo uniti, abbiamo fatto delle sessioni di improvvisazione, come facciamo per quasi tutti i dischi, un atto unico e irripetibile. Perché è un rituale.. tutti nostri dischi sono etnografia in questo senso, sono registrazioni di rituali di incontro tra entità musicali , senza nessun lavoro preparativo dietro, senza una struttura ne semplice ne elaborata, c’è semplicemente un viaggio, una partenza e un arrivo. Sono sessioni uniche di registrazione che raccolgono lo studio di ognuno e perciò sono sempre diverse, sia per le evoluzioni dei singoli componenti, sia per le continue mutazioni di formazione,dovute all’instabilità del collettivo, all’interno del quale sono attive forze di attrazione e repulsione, per cui un elemento si allontana ed un altro si avvicina, per svariate ragioni. Per questo noi abbiamo agito in maniera tale per cui anche una sola persona può essere in grado di dare una performance come H.B.O.L. Si parte da una cellula, unica, e questa si può moltiplicare ad ogni istante, in poche parole siamo indipendenti anche dallo stesso discorso del collettivo. Un collettivo fatto per cosi dire di monadi che si scontrano, si incontrano , cozzano etc..ma anche ad un livello umano intendo.

-L’idea è anche un po tipica delle case indipendenti, cioè una serie di artisti si uniscono in varie declinazioni per creare un numero consistente di progetti e prodotti.

Esattamente! È un sistema diffusissimo nelle case Indipendenti. Il nostro collettivo non è diverso da molti altri collettivi musicali in tutto il mondo da New York al Giappone (cita diversi esempi). Noi rappresentiamo nel nostro piccolo quello che succede in tutto il mondo ormai da decenni.

É sempre così : una serie di collettivi musicali in cui ogni componente è indipendente. Esiste un sentire comune che però è sempre scomponibile in individualismi più o meno marcati.. É un po l enigma dei nostri tempi : andare verso il collettivismo delle nazioni o verso l indipendenza?

-Suona abbastanza attuale…

E non sono dinamiche che si manifestano solo nella musica, ma sono dinamiche sopratutto sociali. La musica se veicolata da queste entità diventa esattamente la colonna sonora dei contesti nei quali queste entità vivono.

-Colonna sonora o prodotto musicale piuttosto?

No no, è una rappresentazione di un ambiente , non è un prodotto. É idealmente un piano in cui si collocano le varie personalità che ci appartengono. E soprattutto è un lavoro di ricerca, anche antropologica e etnologica, di contatti tra passato remoto e futuro prossimo. Ognuno porta le sue radici ma anche le sue scoperte più futuribili, che sia belga, sardo, cinese, giapponese, africano o finlandese l’essenza della ricerca rimane sempre quella…in questo senso ogni registrazione è un documento etnografico.

-A proposito invece del linguaggio musicale, mi pare che sia abbastanza condiviso dai diversi musicisti, e da diversi progetti (Maqom, HBOL) si predilige la forma aperta , che possa contenere qualsiasi tipo di improvvisazione, e la melodia se è presente ha forme molto semplici e ripetitive, dei drones insomma, puoi spiegare cosa siano di preciso ?

I drones sono particelle minime musicali, solitamente è un suono o una frequenza che viene mandata di continuo, in eterno. Questa cosa nasce in effetti dall’ambiente di ricerca “accademico” negli Stati Uniti degli anni 50 con La Monte Young e il suo Theater of Eternal Music, ed il minimalismo che da li in poi si è diffuso sempre di più. Si basa alcune leggi di psicoacustica che attraverso la ripetizione delle stesse 2 o 3 frequenze base si creino interconnessioni sempre diverse tra i segnali causando differenze di ampiezza e lunghezza d’onda percepita in ogni istante.

Ma la cosa più interessante di questo discorso è che a queste conoscenze sono arrivato solo dopo, per noi era pura necessità. in effetti eravamo inconsapevoli di stare ripercorrendo strade già battute da altri musicisti in altre epoche e luoghi, solo dopo ho trovato questo filo conduttore che passando per la musica contemporanea arriva in territori di frontiera come la fisica quantistica e l’ etnologia..

E ho trovato che tutte queste pratiche, nella loro diversità hanno tutte lo scopo di andare a spogliare sempre più e più l’umano e lasciarlo nudo al suo stato più essenziale e nobile, ma questo lo si fa anche con sofferenza a volte, perché è sempre uno scavare, smuovendo cose che spesso giacciono sedimentate da sempre.

-Parliamo un po di storia, come è nata la Trasponsonic?

A metà degli anni 90 a Macomer c’era un bar gestito da una nostra amica in cui si creavano situazioni molto promettenti, li è nata la prima formazione del collettivo, gli OTTO AFRODISIACI FATTI IN CASA: un miscuglio di cabaret, televisione, ma sopratutto musica, nel senso più libero del termine, chiunque volesse era libero di intervenire e improvvisare con noi, un vero e proprio esperimento sociale che è nato come divertimento tra di noi ma che riscuoteva anche parecchio successo, I giovani erano stufi della Macomer borghese e perbenista di quegli anni e si sentiva bisogno di una rottura col passato, per fortuna in quegli anni c’è stato il cinquantenario della scoperta dell’LSD, nel 1993, che ha permesso a chi non ci era ancora riuscito, di ampliare la mente e lo sguardo sul mondo e ad aprirsi a nuove esperienze sociali ed artistiche.

Il nostro intento fin dall’inizio era quello di lasciare traccie concrete della nostra vita e della nostra ricerca, sopratutto per chi verrà dopo, in questo senso la cultura materiale del disco è importantissima e rivoluzionaria. E sopratutto serve a noi come diario antropologico, per sapere dove eravamo ieri e capire dove stiamo andando. E se ci pensi qual è il mezzo più utile per ricostruire la storia dell’uomo, non certo i libri di storia che cercano di schematizzare l’inenarrabile realtà dei fatti, ma bensì la musica che veniva fatta in un certo periodo storico, l’arte in generale.

-Cosa pensi della scena musicale macomerese? Oggi c’era la festa dell arte, hai trovato qualcosa di interessante?

Guarda, oggi mi sono avvicinato a sentire qualche gruppo, e ho sentito le stesse cose che si facevano alla festa dell’arte di 10 anni fa: reggae, e punk californiano anni 90. E ho pensato tra me: prima o poi arriveranno anche qua gli anni 2000!

…é così! Sto notando nelle nuove generazioni una fissità statica culturale che non sembra smuoversi, intendo dire nella maggior parte dei casi, certo noi nel primo periodo eravamo sempre 4 gatti ai concerti, ma per un certo periodo sembrava che tantissimi giovani come noi si stessero interessando alla nostra musica anche se totalmente diversa da quella che era la mainstream del periodo. Questo penso che sia un tratto tipico della mia generazione: la ricerca dello scambio culturale, perché alla fine dovunque vado in Europa ma non solo, incontro gente nata più o meno nella metà degli anni 70 e ritrovo affinità sia artistiche che sociali sconcertanti, che siano belgi o australiani sono tutte persone che hanno avuto la voglia di agire, creare reti di rapporti con gente di fuori, di comunicare. Nelle giovani generazioni trovo invece una carenza di contenuti e di idee che sono sconcertanti, pur essendo avanzata incredibilmente la tecnica e quindi molte barriere comunicative sono saltate, non si trova niente di meglio da fare che ripetere all’ossessione le stesse cose da anni.

L’ eccesso di mezzi sembra aver causato il vuoto culturale! Se penso che 100 anni fa con una sola zappa ci potevano lavorare anche più contadini e sfamare le proprie famiglie con un solo strumento!

-Cosa vuol dire analfabetismo musicale?

Io non mi sono mai considerato un musicista, pur usando moltissimi strumenti musicali, li uso tutti come se fossero una clava, in un certo senso, cioè non seguo le istruzioni di nessuno, nessuna tecnica particolare, estraggo solo quel che mi serve dal suono di uno strumento. in questo senso professo l’analfabetismo musicale. Parafrasando Artaud penso che nessuno dovrebbe essere obbligato allo studio, la gente dovrebbe essere lasciata libera di imparare! Anche la tradizione funziona così: certo vi è un sapere condiviso e tenuto da conto, ma poi ognuno la reinterpreta a modo suo applicando sempre una piccola variazione. E questo deve valere sopratutto per l’opera d’arte! La libertà è fondamentale.

-Ascoltando alcuni dei vostri dischi ho notato una certa disaffezione per l’ elemento melodico e una sempre maggiore ricerca timbrica, mi confermi questa tendenza?

Assolutamente! La melodia non è altro che una struttura che costruisci e che ritorna, ti costringe a creare gabbie che la possano contenere, certo è un fattore importantissimo per molta della musica, ma non per noi, che ricerchiamo il suono, ossia la Phoné in primo piano. Penso che l’ intonazione, il timbro siano gli elementi più essenziali della comunicazione e con questi noi agiamo nella nostra musica. É un linguaggio pre-verbale, e anche molto efficace, riconosciuto e conservato da diverse culture come quella indiana e cinese.

-Mi dicevi che l’idea della Trasponsonic è nata anche dall’estetica-etica punk del fare le cose in casa , di auto prodursi..

Certo, noi siamo nati proprio così. Dallo scambio di cassette fatte in casa. All’epoca a Macomer c’era uno dei più grandi “tape-trader” della storia dell umanità, penso! Si chiama Walter Garau il quale è anche stato uno dei primi a organizzare concerti di Grind-core in Italia, qui a Macomer e nel cui gruppo suonavano anche alcuni degli elementi che poi sono confluiti nei collettivi Trasponsonic. Walter aveva 1000 corrispondenti, cioè 1000 persone con cui scambiava cassette, principalmente di gruppi hardcore, e addirittura gli arrivavano anche gli avant-promo dei dischi che dovevano ancora uscire. Frequentare quell’ambiente è stato molto utile e ricco di sorprese, una volta arrivò a trovaci Mirai Kawashima che poi diventò il cantante dei Sigh un gruppo Black-metal molto famoso in Giappone. Suonammo insieme e registrammo “Homai Chimigawa au revoir Anzone”. Altri gruppi a Macomer in quel periodo avevano vocazione internazionalista, infatti un gruppo, Brutal Mutilation incise uno split-album con i belgi Intestinal Disease.. Tutto quest’ambiente alla fine mi ha dato le basi per poter fare ciò che ho fatto con la Trasponsonic, ossia Basarsi sullo scambio di musica per creare un circuito alternativo in cui la libertà di espressione fosse al primo posto.

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