“Sex and the teens”: ma che davero???

The movie "Quadrophenia", directed by Franc Roddam.  Seen here from left, Leslie Ash as Steph and Phil Daniels as Jimmy.  Initial USA theatrical release November 2, 1979.  Screen capture. © 1979 The Who Films Ltd. Credit: © 1979 The Who Films Ltd. / Flickr / Courtesy Pikturz.  Image intended only for use to help promote the film, in an editorial, non-commercial context.

The movie “Quadrophenia”, directed by Franc Roddam. Seen here from left, Leslie Ash as Steph and Phil Daniels as Jimmy. Initial USA theatrical release November 2, 1979. Screen capture. © 1979 The Who Films Ltd. Credit: © 1979 The Who Films Ltd. / Flickr / Courtesy Pikturz.
Image intended only for use to help promote the film, in an editorial, non-commercial context.

In quel gioiello di album che è “The miseducation of Lauryn Hill”, alcune canzoni sono introdotte da dialoghi registrati probabilmente in una scuola. Non ne ho la certezza, ma l’impressione è che Hill sia andata (insieme a uomini, cosa da non sottovalutare) nelle scuole a parlare con ragazzi e ragazze di amore e, probabilmente, anche sesso. In “Doo wop (that thing)”, Hill parla direttamente a loro, prima chiedendo alle ragazze di rispettare sé stesse (“Don’t be a hardrock when you’re really a gem, Babygirl, respect is just a minimum”), perché “it’s silly when girls sell their soul because it’s in”, ma senza atteggiamenti di superiorità (“Now Lauryn is only human, Don’t think I haven’t been through the same predicament”). Poi si rivolge ai ragazzi, “more concerned with his rims and his Timbs than his women, him and his men come in the club like hooligans” e spiega: “Money taking, heart breaking, now you wonder why women hate men, the sneaky silent men the punk domestic violence men” e conclude “stop acting like boys and be men”. Ma non rinuncia a rivolgere un messaggio rivolto a tutt*: “guys/girls you better watch out, some guys/girls are really about that thing”. Senza indugiare nella più facile delle morali, Hill ricorda di non farsi illudere dalle promesse d’amore di chi vuole solo that thing.

Ho pensato subito a questo dopo aver visto “Sex and the teens”, “inchiesta” video pubblicata da Sky e curata da Beatrice Borromeo. Ho visto questo “documentario” ispirato dalla critica letta su NarrAzioni differenti, ma a differenza della blogger vorrei portare un diverso punto di vista, quello di uno che ha fatto il giornalista, che vorrebbe continuare a farlo e che nell’attesa si interroga costantemente sul significato di questa professione.

Perché ho messo “inchiesta” e “documentario” tra virgolette? Perché credo che le regole della professione giornalistica, specialmente delle inchieste, non siano molto diverse da quelle della ricerca scientifica, pur con tutti i distinguo relativi alla ‘scienza’ umanistica rispetto alla cosiddetta ‘hard science’. Per questo, credo che quando si presenta un’inchiesta alcuni elementi debbano essere espliciti: la direzione (cosa sto cercando?), il metodo (come lo sto cercando?), la motivazione (perché lo sto cercando? cosa voglio dimostrare?) e magari anche i risultati attesi (cosa mi aspetto di trovare? e se trovo qualcosa di diverso, che significato ha?). Tutto questo consente alle persone interessate di poter valutare la validità, la qualità del lavoro svolto ed eventualmente di confutarlo.

Sfortunatamente non è così con la prima parte di “Sex and the teens”, venti minuti circa in cui alcune ragazzine raccontano davanti agli occhi spalancati della giornalista le loro abitudini sessuali, mentre la telecamera indugia pervicacemente sulle gambe delle suddette ragazzine in una nemmeno tanto velata ricerca dell’effetto Lolita. Il filmato comincia con affermando che “le baby prostitute sono cresciute del 440%” e qui cominciano le domande: cosa è una “baby prostituta”? Cosa la distingue da una prostituta “non baby”? E ancora: da dove viene questo dato? È una mera cifra derivata dalle inchieste giudiziarie, è un’inferenza su dati ufficiali? E quale è il dato assoluto?

Non possiamo saperlo perché tempo un secondo e siamo già immersi nell’atmosfera di Mykonos, evocata dai racconti di queste 6-7 ragazze (di cui non è dato sapere l’età: potrebbero avere 14 come 18 anni) che nella ridente isola greca hanno evidentemente sperimentato lo sperimentabile, o forse hanno solo chiacchierato con scambiste 40enni e hanno deciso di coglionare Borromeo con racconti fasulli.

Sto dicendo che non posso credere che ragazze così giovani abbiano fatto tante esperienze, che le immagino tutte ingenue vestali in attesa del loro cavaliere? No, per niente. Ma se a parlare fossero stati dei ragazzi, quanti e quante avrebbero creduto a racconti simili? L’assunto alla base (lo spiego io, ma avrebbe dovuto farlo l’autrice dell’inchiesta!) è l’idea per cui le ragazze sono socialmente educate a non parlare di certe cose, a far finta di non sapere e di non fare, per cui se lo raccontano è vero. Anzi, nel rozzo luogo comune, se le esperienze sessuali raccontate dai ragazzi vanno sempre “divise per tre”, quelle delle ragazze vanno allo stesso modo moltiplicate. Per cui, il sottinteso è che le ragazze sono necessariamente sincere: e forse, se Borromeo avesse esplicitato l’idea del ‘ruolo sociale’ delle ragazze, l’intervista sarebbe stata lievemente più interessante. Ma il vero “non detto” dell’inchiesta è un altro, come sottolinea anche NarrAzioni: dove sono i ragazzi? E dove sono, soprattutto, gli uomini che vanno alla ricerca di queste ragazze?

Per tornare alla questione ‘scientifica’, la domanda è: perché parlare solo con ragazze? La scelta di per sé è tutt’altro che ovvia, e necessita di essere chiaramente spiegata nelle premesse dell’inchiesta: cosa sta cercando? Cosa si aspetta di trovare? Cosa vuole dimostrare?

Borromeo intervista un gruppo di ragazze e non spiega perché proprio quel gruppo di ragazze. Sembrano romane, ma in realtà non lo sappiamo, come non conosciamo la loro estrazione sociale, il contesto da cui vengono. In assenza di contestualizzazione, Borromeo lascia implicitamente intendere che quella da lei raccontata sia la normalità, salvo poi redimersi e precisare verso la fine: “si tratta di fotografie precise di tante piccole realtà”. Quali realtà? Quella delle ragazze occidentali, delle ragazze italiane, della città, della provincia, dell’ambiente alto borghese, medio, proletario?

Senza una spiegazione adeguata, verrebbe da pensare che, per Borromeo, Il Problema sia semplicemente il fatto che le ragazzine fanno sesso. Possiamo anche essere di manica larga, e accettare che una così banale constatazione (applicabile in ogni luogo e in ogni tempo) sia effettivamente un problema. Ma che tipo di problema?

È un’emergenza sociale? E che tipo di emergenza sociale? Esiste in Italia un problema delle ragazze-madri? E se esiste, in che termini? A cosa è dovuto? E se è una emergenza, quale è la situazione di normalità?

Oppure è un’emergenza morale? E se lo è, rispetto a quale moralità? A un certo punto Borromeo dice, forse stupita: “quindi le cose fighe a 14 anni anni sono essere ubriachi e andare a letto con qualcuno?”. Sicuramente, anche sì: ma anche vincere un torneo di tennis, avere una piscina in casa, fare un corso di fotografia, passare la notte a leggere un libro sotto le coperte, andare al mare con l’amic* maggiorenne che ha la macchina. Nessuna di queste cose esclude l’altra, tanto meno si contrappongono all’alcol e al sesso. Si parla, certo, anche di ‘amore’: Borromeo chiede alle ragazze se pensano ci sia differenza tra ‘andare a letto con uno’ e ‘fare l’amore’. La differenza esiste, è ovvio, chiunque più o meno e prima o poi la percepisce: ma nelle domande della giornalista le sfumature, che per ognun@ sono ovviamente diverse, diventano una dicotomia brutale: o hai il fidanzato serio, o sei una baby doccia. Nel quadro non esistono vie di mezzo.

Borromeo prova a ricacciare in gola il “ma che, davero?” che traspare dai suoi occhi ogni volta che viene inquadrata mentre sente parlare le ragazze; ma la sua esibita e voluta mancanza di visione critica consapevole non basta a stemperare questa morale così stantia. Al contrario, è ancora più grave, perché alla fine, ciò che sembra interessare davvero tantissimo alla giornalistanon è se queste ragazze siano felici, se abbiano qualche passione nella vita, ma solo e unicamente questo: ma quando sarete grandi non vi vergognerete di quello che avete fatto?

Il fatto che Borromeo non invochi il coprifuoco e le cinture di castità non deve trarre in inganno, perché tutto l’impianto dell’inchiesta si basa infatti sul valore (mai esplicitato e motivato) della verginità. E non è un caso infatti che i maschi siano così platealmente lasciati da parte: perché dall’inchiesta emerge che il mondo del sesso è fatto semplicemente di domanda e offerta. Dove i maschi non sono che il piatto e incolore popolo del lato della domanda, ma sta alle ragazze tenere con austerità le redini dell’offerta, e la verginità, quindi, è una specie di azione che acquisisce valore col tempo. Su quale mercato e in cambio di cosa venga venduta, non si sa, ma questa visione così economica può forse aiutarci a capire il perché del dato sulle “baby prostitute” dichiarato all’inizio.

Perché, evidentemente, per Borromeo se fare sesso non è uguale a prostituirsi poco ci manca.

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