“Bar Bahar – In between”: libere, disobbedienti e belle

“Bar Bahar – In between”, maldestramente tradotto in italiano come “Libere, disobbedienti e belle”, è un film che racconta le vicende di tre ragazze palestinesi che vivono a Tel Aviv.

Leila e Salma sono coinquiline e amiche: all’inizio del film le vediamo divertirsi nel privée di un discobar, tra alcol e cocaina, insieme ai loro amici gay. Leila è un’avvocata penalista, spregiudicata nel lavoro e nel divertimento; Salma lavora in un ristorante, è lesbica e proviene da una famiglia rurale cristiana alla quale ha sempre nascosto la propria identità. Il loro stile di vita urbano ed elettrico viene messo in crisi dall’arrivo di Nour, cugina del loro amico Rafeef, che ha chiesto alle ragazze di ospitarla mentre studia per l’ultimo semestre di informatica. Nour è una ragazza molto tradizionalista, fidanzata con l’attivista integralista Wissam che non vede di buon occhio il fatto che lei viva nella peccaminosa Tel Aviv e che Nour voglia lavorare invece di stare a casa.

Per non rivelare niente fermo qui il racconto per parlare invece di quello che, secondo me, colpisce nel film. “In between” è diretto dalla regista palestinese Maysaloun Hamoud, nata in Ungheria e cresciuta in Israele; è girato e prodotto in Israele dalla stessa regista e da Shlomi Elkabetz, finanziato da Deux Beaux Garçons Film e dalla Israeli Film Production. Leggendo queste informazioni nei titoli di testa, e conoscendo a grandi linee la trama, ho pensato a un’ennesima operazione di pinkwashing. Dopo aver visto il film, non ne sono così convinto.

Leila, Salma e Nour vivono in Israele: lo sappiamo soprattutto perché Tel Aviv è menzionata spesso. Non si parla mai del conflitto tra israeliani e palestinesi, ma c’è un accenno notevole nella scena in cui Salma, lavorando nel ristorante, scherza coi colleghi in arabo (nota: il film è recitato tutto in arabo, i pochi dialoghi in lingua ebraica sono sottotitolati e non doppiati in italiano) finché entra il loro supervisore che li ammonisce: “vi avevo detto di non parlare arabo qui dentro, lo sapete che ai clienti dà fastidio”.

In tutto il resto del film Israele è praticamente inesistente: gli amici delle ragazze sono tutti palestinesi, gli israeliani sono solo personaggi di contorno. Ma la cosa più importante è che dalle vicende difficili che le coinvolgono, Leila, Salma e Nour ne escono da sole. Il film, quindi, non presenta la solita cornice narrativa in cui le povere ragazze arabe vengono salvate dall’occidente non-musulmano e democratico; al contrario, come ha detto la regista Hamoud in un’intervista, “L’ipocrisia è dappertutto, non soltanto nel mondo mussulmano […] il mio [film] affronta un tema piuttosto universale, non è solo sulle donne arabe. Questi comportamenti e questi problemi attraversano tutto il mondo, l’Europa, il Medio Oriente, gli Stati Uniti, l’America Latina, l’Africa. Il mondo occidentale può pensare di essere migliore ma le statistiche sulle donne non mentono!”.

Non solo: “Bar Bahar – In between” è un film nel quale non ci sono protagonisti maschili positivi, con la parziale eccezione della figura vagamente positiva del padre di Nour. Ancora Hamoud spiega: “Nel mio film non ci sono uomini buoni o cattivi, solo esseri umani che si comportano a seconda delle tradizioni da cui provengono […] Certi comportamenti nei confronti delle donne non sono una questione di provenienza religiosa. Il padre di Salma, che è un arabo cristiano, reagisce esattamente come farebbe un ebreo o un mussulmano”. Quello che più mi ha colpito, e che non è usuale ritrovare nei film o nei libri, è che le ragazze, appunto, si destreggiano da sole; e per quanto il finale non sia un perfetto lieto fine, la sensazione che resta è quella di tre protagoniste effettivamente libere perché capaci di autodeterminarsi pur tra mille difficoltà, disobbedienti a modo loro, e in definitiva sì, anche belle. Ma di una bellezza che si distacca dalla figura della donna pura, autorevole, immacolata combattente: Leila Salma e Nour sono forti, magari anche poco amabili, piene di difetti, ma assolutamente vere.

Qui il trailer italiano su MyMovies: http://www.mymovies.it/film/2016/inbetween/

“Sex and the teens”: ma che davero???

The movie "Quadrophenia", directed by Franc Roddam.  Seen here from left, Leslie Ash as Steph and Phil Daniels as Jimmy.  Initial USA theatrical release November 2, 1979.  Screen capture. © 1979 The Who Films Ltd. Credit: © 1979 The Who Films Ltd. / Flickr / Courtesy Pikturz.  Image intended only for use to help promote the film, in an editorial, non-commercial context.

The movie “Quadrophenia”, directed by Franc Roddam. Seen here from left, Leslie Ash as Steph and Phil Daniels as Jimmy. Initial USA theatrical release November 2, 1979. Screen capture. © 1979 The Who Films Ltd. Credit: © 1979 The Who Films Ltd. / Flickr / Courtesy Pikturz.
Image intended only for use to help promote the film, in an editorial, non-commercial context.

In quel gioiello di album che è “The miseducation of Lauryn Hill”, alcune canzoni sono introdotte da dialoghi registrati probabilmente in una scuola. Non ne ho la certezza, ma l’impressione è che Hill sia andata (insieme a uomini, cosa da non sottovalutare) nelle scuole a parlare con ragazzi e ragazze di amore e, probabilmente, anche sesso. In “Doo wop (that thing)”, Hill parla direttamente a loro, prima chiedendo alle ragazze di rispettare sé stesse (“Don’t be a hardrock when you’re really a gem, Babygirl, respect is just a minimum”), perché “it’s silly when girls sell their soul because it’s in”, ma senza atteggiamenti di superiorità (“Now Lauryn is only human, Don’t think I haven’t been through the same predicament”). Poi si rivolge ai ragazzi, “more concerned with his rims and his Timbs than his women, him and his men come in the club like hooligans” e spiega: “Money taking, heart breaking, now you wonder why women hate men, the sneaky silent men the punk domestic violence men” e conclude “stop acting like boys and be men”. Ma non rinuncia a rivolgere un messaggio rivolto a tutt*: “guys/girls you better watch out, some guys/girls are really about that thing”. Senza indugiare nella più facile delle morali, Hill ricorda di non farsi illudere dalle promesse d’amore di chi vuole solo that thing.

Ho pensato subito a questo dopo aver visto “Sex and the teens”, “inchiesta” video pubblicata da Sky e curata da Beatrice Borromeo. Ho visto questo “documentario” ispirato dalla critica letta su NarrAzioni differenti, ma a differenza della blogger vorrei portare un diverso punto di vista, quello di uno che ha fatto il giornalista, che vorrebbe continuare a farlo e che nell’attesa si interroga costantemente sul significato di questa professione. Continue reading